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Non è la prima volta che una società tecnologica si schiera contro Donald Trump. Ma nell’affare Huawei mai nessuno si era spinto così a Est: Brad Smith, presidente e chief legal officer di Microsoft, ha affermato – in un’intervista a Bloomberg Businessweek – che la Casa Bianca starebbe trattando il gruppo cinese in modo ingiusto. Perché nessuno, neppure dalle parti di Redmond ha visto le prove che Trump dice di avere contro Huawei.

Dalla parte di Huawei

Il blocco, congelato fino al 19 agosto e poi per altri 90 giorni, impedisce a Huawei di avere rapporti commerciali con le società americane. E questo significherebbe tagliare le forniture di processori (Intel e Qualcomm), app e sistemi operativi. Se Google sviluppa quello per gli smartphone (Android), sui portatili di Shenzhen gira Windows. Si tratta di una misura forte, che come tale – ha spiegato Smith – dovrebbe avere “solide basi di fatti, logica e stato di diritto”.

E invece governa la nebbia. Microsoft ha chiesto spiegazioni, ottenendo la stessa risposta che Trump affida a stampa e social network: “Se sapeste quello che sappiamo, sareste d’accordo” con il bando. “E la nostra replica – ha affermato Smith – è: ‘Fantastico, mostrateci quello che sapete in modo che possiamo decidere da soli’”. E invece nulla. In altre parole: la compagnie guidata da Satya Nadella, parte in causa in una decisione che potrebbe toccare le proprie casse, sembra saperne quanto chiunque altro. Cioè poco. Stando alle informazioni in possesso di Microsoft – quindi – Huawei sarebbe legittimato ad acquistare prodotti e servizi dalle compagnie statunitensi. Smith si rivolge direttamente a Trump, dicendo – neanche tanto velatamente – che il presidente, in fatto di tecnologia, non è proprio un pozzo di scienza.

Per questo fa un confronto con un settore che dovrebbe conoscere meglio, l’immobiliare: “Dire a una società tecnologica che può vendere prodotti ma non acquistare sistemi operativi o chip è come dire a un albergo che può aprire le porte, ma non mettere i letti nelle camere o servire cibo. Metti a rischio la sopravvivenza di quella compagnia”.  

Microsoft cambia tono

La posizione di Smith non è del tutto sorprendente. Lo sono i suoi toni, così netti. E colpiscono, ancor di più, perché arrivano dai vertici di Microsoft, che con la guida Nadella ha fatto del basso profilo uno stile. Anche dopo l’annuncio con cui Trump inseriva Huawei nella lista nera, Google si era accodata dopo una manciata di ore, provocando un putiferio. Microsoft aveva temporeggiato prima di fare lo stesso. E a giugno aveva riammesso sul proprio negozio online tre portatili Huawei, nonostante i dubbi: “Abbiamo valutato e continueremo a rispondere alle numerose complessità aziendali, tecniche e normative derivanti dalla recente aggiunta di Huawei alla Entry List”, aveva afferma un portavoce di Microsoft a TheVerge.

Si naviga a vista. Le compagnie hanno infatti sempre parlato di “adeguamento” alle direttive della Casa Bianca. Insomma: lo facciamo perché ci tocca, ma non siamo contenti. Se è vero che Huawei perderebbe fornitori importanti, Google e Microsoft vedrebbero sfuggire un cliente pesante e, quindi, un pezzo di fatturato. Senza contare che (più in là e tra mille incognite) il partner potrebbe trasformarsi in concorrente. Adesso le esternazioni di Smith inviano un messaggio ancor più chiaro.

Perché così, perché adesso

Per quanto frontale, però, la mossa di Smith è preventiva. Per Microsoft, perdere un cliente è un problema. Ma il vero timore è che il divorzio da Huawei sia una tappa dell’escalation tecnologica tra Cina e Stati Uniti. L’acuirsi di restrizioni incrociate condizionerebbe l’evoluzione di settori, come l’intelligenza artificiale, su cui Redmond sta puntando parte del proprio futuro. Altro che sistemi operativi. “Non puoi essere un leader tecnologico globale se non puoi portare la tua tecnologia nel mondo”, ha affermato Smith. Potrebbe valere anche per i gruppi cinesi, vale di certo per quelli americani. Microsoft ha quindi chiesto al Dipartimento del Commercio di mettere da parte “la mannaia” per usare “il bisturi”.

Cioè di avere un approccio più selettivo, che non blocchi lo scambio tecnologico (Microsoft ha un centro di ricerca a Pechino) ma interdica compagnie (in caso di prove certe) e applicazioni specifiche (come quella militare) che possano rappresentare un rischio per la sicurezza nazionale. Smith – è noto – ha sostenuto la campagna presidenziale di Hillary Clinton, ma il suo intervento non è guidato da partigianeria politica. Il presidente di Microsoft sta difendendo gli interessi della propria società: “L’unico modo in cui puoi gestire la tecnologia globale è far sì che i governi collaborino”. Puntare la mannaia l’uno contro l’altro non conviene a nessuno.  

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