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AGI – In un numero speciale la prestigiosa rivista “Science” ha cercato di fare maggiore luce sul discusso rapporto tra Social Media e politica, in particolare cercando di capire quanto questi mezzi di comunicazione siano in grado di influenzare le nostre scelte politiche.

In un primo studio pubblicato sul numero, Andrew M. Guess, Princeton University, USA e i suoi colleghi, hanno cercato di esaminare l’effetto dei sistemi algoritmici di classificazione dei feed sugli atteggiamenti e sui comportamenti politici degli individui in relazione alle elezioni presidenziali statunitensi del 2020. I partecipanti allo studio sono stati reclutati tramite inviti al sondaggio inseriti nella parte superiore dei loro feed di Facebook e Instagram nell’agosto 2020.

In un’analisi di tre mesi che ne è seguita, i ricercatori hanno confrontato i partecipanti in un gruppo di controllo (per i quali non sono state apportate modifiche ai feed algoritmici) con i partecipanti in una condizione di trattamento (cioè, i partecipanti hanno visto i feed modificati e organizzati cronologicamente, con i post più recenti che apparivano in alto).

Il gruppo di trattamento ha trascorso meno tempo ed è stato meno coinvolto con i contenuti sulle piattaforme ed è stato esposto a contenuti più ideologicamente diversi. Tuttavia, ciò non ha portato a cambiamenti rilevabili negli atteggiamenti politici dei partecipanti, compresi i risultati delle analisi della polarizzazione. In un secondo studio sullo stesso numero, una ricerca condotta anch’essa da Guess ha studiato l’impatto dei contenuti ricondivisi di Facebook – che costituiscono più di un quarto dei post che gli utenti di Facebook vedono – sull’esposizione alle notizie politiche durante le elezioni statunitensi del 2020.

La soppressione dei contenuti ricondivisi ha sostanzialmente ridotto la quantità di notizie politiche, anche provenienti da fonti non affidabili, cui gli utenti erano esposti, ma non ha influenzato le loro opinioni politiche. In un terzo studio, Sandra Gonzalez-Bailon dell’University of Pennsylvania e colleghi hanno affrontato la questione se Facebook consenta la segregazione ideologica nel consumo di notizie politiche.

Secondo il loro studio gli utenti politicamente conservatori sono molto più segregati e incontrano molta più disinformazione sulla piattaforma. Rispetto ai progressisti, gli autori hanno scoperto che gli utenti politicamente conservatori erano molto più isolati nelle loro fonti di notizie ed esposti a molta più disinformazione. Sia i processi algoritmici (guidati dai dati e automatizzati) sia i processi di amplificazione sociale (legati alle scelte fatte dagli utenti) hanno giocato un ruolo in questa segregazione ideologica. 

AGI – Si chiama Frontier Model Forum e si definisce “un ente per uno sviluppo sicuro e responsabile” dei modelli di intelligenza artificiale più evoluti. Non è il primo e non sarà l’ultimo, almeno stando al poco che si sa del progetto, ancora tutto da definire.

Asse Google-Microsoft per “l’AI di frontiera”

A oggi, gli elementi distintivi sono due. Si tratta di un’iniziativa che si concentra su quella che definisce “AI di frontiera”. È quindi un ente molto verticale, che guarda alle applicazioni più innovative dell’intelligenza artificiale. Il secondo, e probabilmente più significativo, fattore è la lista dei fondatori: Anthropic, Google, Microsoft e OpenAI. Startup che esplorano l’AI e giganti con le tasche piene pronti ad applicarla alla loro sterminata gamma di prodotti, dalle ricerche online ai software. Quattro società, ma con due – chiari – poli di riferimento. Perché Microsoft detiene una quota importante di OpenAI e Google, appena tre mesi dopo il lancio di ChatGPT, ha investito 300 milioni in Anthropic (fondata da un ex dipendente di OpenAI). Insomma: si ritrovano allo stesso tavolo le compagnie che negli scorsi mesi se le sono date di santa ragione. Nessun accordo anti-concorrenziale, ma un’organizzazione per discutere (si chiama “Forum”) il futuro.

Iniziativa “aperta”. Ma fino a un certo punto

L’adesione è aperta alle organizzazioni del settore che dimostrino “un forte impegno per la sicurezza” e volontà di “partecipare a iniziative” condivise. I fondatori, però, avranno sempre un ruolo di guida: saranno loro a definire i “modelli da sviluppare e implementare”, a stabilire “accordi istituzionali”, a decidere “statuto, governance e finanziamenti” e a consultarsi con “la società civile e i governi” sulle possibili collaborazioni. Difficile immaginare, a queste condizioni, l’adesione di altri big, come Amazon e Meta.

I due nomi non sono casuali. E non solo per la loro dimensione. Il 21 luglio, meno di una settimana prima di annunciare il Forum, sette società hanno sottoscritto alla Casa Bianca un impegno per lo sviluppo di “un’intelligenza artificiale responsabile”. Quattro firmatari sono i fondatori del Frontier Model Forum. Una è una startup vicina a Microsoft (il fondatore, Reid Hoffman, è il papà di LinkedIn – proprietà Microsoft – e membro del Cda guidato da Satya Nadella). Le altre due erano Amazon e Meta.

Gli obiettivi del Frontier Model Forum

L’iniziativa non è affatto da sottovalutare. Ma è presto per dire se possa essere utile. Perché, al di là della leadership dei fondatori, gli obiettivi che si propone il Frontier Model Forum sono già sentiti: promuovere lo sviluppo responsabile dell’AI, consentire valutazioni indipendenti e standardizzate sulla sua sicurezza, supportare la ricerca, identificare buone pratiche, aiutare gli utenti a comprendere “la natura, le capacità, i limiti e l’impatto della tecnologia”. E ancora: “Sostenere gli sforzi per far fronte alle maggiori sfide della società, come la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici, la diagnosi precoce e la prevenzione del cancro e la lotta alle minacce informatiche”. Infine, “collaborare con i decisori politici, accademici, società civile e aziende”, facilitando “la condivisione di informazioni” tra pubblico e privato.

 

Collaborazione e auto-regolamentazione

Il Forum afferma di voler “sostenere e alimentare” le iniziative promosse da G7, Ocse, Usa e Ue. E di voler affiancare quelle private già esistenti, come la Partnership on AI (di cui fanno già parte, tra i tanti, anche Microsoft, Google, Meta, Amazon e Apple) ed MLCommons (promosso nel 2018 da ricercatori di Baidu, Google, Harvard e Stanford).

Alcuni degli obiettivi del Forum somigliano molto ai “Sette principi” per lo sviluppo dell’AI che Google si è già data da tempo. Meta ha lanciato di recente la Open Innovation AI Research Community, un programma destinato a “ricercatori accademici e ai progettati che favoriscano la collaborazione e la condivisione delle conoscenze nel campo dell’intelligenza artificiale”. Iniziative diverse, accomunate da un vocabolario simile e dagli stessi obiettivi.

Una proliferazione che pare una conferma: le società statunitensi, come sempre, stanno cercando la strada dell’autoregolamentazione. Dimostrarsi responsabili per evitare vincoli normativi. In passato (ad esempio sulla gestione trasparente ed “etica” dei dati) non ha funzionato. L’amministrazione Biden sembra però assecondare questo approccio. L’impegno firmato il 21 luglio è, appunto, solo un impegno. Adesione volontaria, niente obblighi. Un po’ come fatto per il Gdpr, diverso è lo scenario in Europa, dove entro l’anno l’Ue punta ad approvare l’AI Act. E qui, al di là dei pur utili forum, si dovrà parlare di regole.

AGI – Quattro aziende statunitensi leader nello sviluppo dell’intelligenza artificiale hanno annunciato la formazione di un gruppo dedicato ad affrontare i rischi che le versioni all’avanguardia di questa tecnologia potrebbero comportare.

Anthropic, Google, Microsoft e OpenAI, creatore di ChatGPT, hanno creato il Frontier Model Forum per ridurre al minimo i rischi dell’IA e supportare gli standard del settore. Le aziende si sono impegnate a condividere le loro migliori pratiche oltre che tra loro anche con legislatori e ricercatori.

I modelli di “frontiera” si riferiscono a piattaforme di machine learning nascenti e su larga scala che portano l’intelligenza artificiale a nuovi livelli di sofisticazione e hanno anche capacità che potrebbero essere pericolose.

“Le aziende che creano questa tecnologia hanno la responsabilità di garantire che sia sicura, protetta e rimanga sotto il controllo umano”, ha dichiarato il presidente di Microsoft Brad Smith in una nota, definendo questa iniziativa “un passo fondamentale per riunire il settore tecnologico nel far progredire l’IA in modo responsabile e affrontare le sfide in modo che vada a vantaggio di tutta l’umanità”.

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden aveva evocato gli “enormi” rischi e le promesse di questa tecnologia in un incontro alla Casa Bianca la scorsa settimana con i leader dei colossi tecnologici.
Di fronte ai massimi rappresentanti di Amazon, Anthropic, Google, Inflection, Meta, Microsoft e OpenAI, Biden aveva chiesto alle aziende di impegnarsi a “guidare l’innovazione responsabile” mentre l’IA si diffonde sempre più nella vita personale e aziendale.

Prima dell’incontro, i sette giganti dell’IA si erano impegnati in una serie di salvaguardie autoregolate e avevano concordato di sviluppare “robusti meccanismi tecnici”, come i sistemi di watermarking, per garantire agli utenti di sapere quando il contenuto proviene dall’intelligenza artificiale e non dall’uomo.

Gli obiettivi principali del Frontier Model Forum includono la riduzione al minimo dei rischi e l’abilitazione di valutazioni di sicurezza indipendenti delle piattaforme di intelligenza artificiale.
Il Forum sosterrà anche lo sviluppo di applicazioni destinate ad affrontare sfide come il cambiamento climatico, la prevenzione del cancro e le minacce informatiche.

“Le tecnologie avanzate di intelligenza artificiale hanno il potenziale per apportare profondi benefici alla società e la capacità di raggiungere questo potenziale richiede supervisione e governance”, ha affermato Anna Makanju, vicepresidente degli affari globali di OpenAI, “È fondamentale che le aziende di intelligenza artificiale, in particolare quelle che lavorano sui modelli più potenti, si allineino su un terreno comune e promuovano pratiche di sicurezza ponderate e adattabili”.

AGI – Samsung ha presentato  in grande stile a Seul la sua nuova famiglia di smartphone pieghevoli Galaxy Z Flip5 e Galaxy Z Fold5, che incorporano cerniere nuove, più resistenti e che li rendono più leggeri e compatti per cercare di mantenere la sua leadership in un segmento sempre più competitivo.

La nuova cerniera (“Flex hinge”) consente ai dispositivi, che saranno disponibili in mercati selezionati dall’11 agosto, di chiudersi completamente, a differenza delle precedenti serie Z Flip e Z Fold.

Questo miglioramento del design consente una finitura esterna più fluida e, soprattutto, alleggerisce i device rispetto al peso eccessivo delle serie precedenti che sembrava scoraggiare molti utenti.

Sebbene lo Z Flip5 condivida l’hardware del suo predecessore (processore Snapdragon 8 Gen 2, 12 GB di RAM, 512 GB di memoria, schermo interno da 7,6 pollici ed esterno da 6,2 pollici), il telefono è ora 10 grammi più leggeri e 2-3 millimetri più sottile.

Il fratello in formato “shell”, lo Z Fold5, presenta un design esterno molto rinnovato: lo schermo esterno è quasi quattro volte quello dello Z Fold 4, e consente all’utente di utilizzare ed eseguire molte funzioni senza aprire il telefono.

Sebbene domini praticamente l’80% del mercato dei pieghevoli, Samsung, che ritiene che questa sia la direzione naturale del mercato, punta a far sì che la metà delle sue vendite  entro il 2025 sia in questo formato.

E lo fa in un anno in cui Google e Motorola hanno lanciato i loro primi dispositivi -rispettivamente Pixel Fold e Razr+- per competere in questo segmento.

Lo schermo principale è dotato di uno strato antiurto e un retro dal design rinnovato che conferiscono una maggiore solidità al display, insieme con la certificazione IPX8, alle scocche in Armor Aluminum e al Corning Gorilla Glass Victus2 della Flex Window e del retro.

Da chiuso è possibile accedere velocemente e agevolmente alle previsioni meteo, le riproduzioni musicali , controllare le notifiche e accedere alle Impostazioni rapide per Wi-Fi o Bluetooth. Senza nemmeno dover aprire il dispositivo si può scorrere la cronologia delle chiamate per richiamare quelle perse e rispondere ai messaggi utilizzando la funzionalità Risposta rapida tramite una tastiera QWERTY completa e avendo la piena visibilità dello storico delle chat. Scorrendo velocemente verso l’alto sullo schermo, si accede a Samsung Wallet per pagare in mobilità, accedere a carte fedeltà e coupon, carte d’imbarco, chiavi digitali e certificazioni sanitarie.

Galaxy Z Flip5 aggiunge miglioramenti dell’IA alla potente esperienza fotografica. Le funzionalità Nightography migliorate ottimizzano le immagini e i video in presenza di luce ambientale. L’algoritmo di elaborazione dei segnali di immagine (ISP) basato sull’IA corregge qualsiasi rumore visivo che in genere rovina le immagini in presenza di scarsa luminosità. Lo zoom digitale è un 10X.

Il Fold è pensato per trasformare la produttività quotidiana attraverso l’esperienza Multischermo e App Continuity, La S Pen Fold Edition introdotta nella terza generazione di pieghevoli nel 2021, è stata perfezionata in modo da offrire su Galaxy Z Fold5 un’esperienza di scrittura quanto più naturale.

Con la barra delle applicazioni si può passare rapidamente tra le app utilizzate più spesso. Ora fino a quattro applicazioni recenti sono pronte per essere aperte per lavorare. La funzionalità trascina e rilascia a due mani, basta toccare e tenere premuta un’immagine nella Galleria con un dito e con un altro aprire l’app Samsung Notes per trascinare e rilasciare l’immagine.

Lo schermo principale è da 7,6 pollici ha una luminosità di picco incrementata di oltre il 30%, fino a raggiungere 1750 nit per migliorare l’esperienza di visione all’aperto anche in caso di luce solare intensa.

Galaxy Z Flip5 e Galaxy Z Fold5 saranno disponibili a partire dall’11 agosto. Galaxy Z Flip5 a un prezzo da 1.250 euro (versione da 256GB) a 1.370  ( versione da 512GB). Il Fold sarà disponibile a 2.000 euro (nella versione da 256GB) fino a 2.340 euro (versione da 1TB).

Samsung ha presentato anche i nuovi Galaxy Watch6 e Galaxy Watch6 Classic e la nuova serie di tablet Galaxy Tab S9

AGI – Contenuti più esclusivi e una “paghetta” per chi li realizza. Instagram monetizza il successo dei suoi creator. La funzione finora disponibile solo negli Stati Uniti, arriverà nelle prossime settimane anche in Australia, Brasile, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Messico, Spagna e Regno Unito. Per Meta si tratta di un modo per “sviluppare connessioni più profonde con i follower più affezionati e garantendo ai creator un ricavo mensile” fanno sapere da Meta, che ha in programma di continuare ad ampliare l’accesso a livello globale nei prossimi mesi. 

Cosa sono gli abbonamenti di Instagram

Con gli abbonamenti di Instagram è possibile sviluppare connessioni più profonde con i follower che interagiscono di più e accrescere i propri ricavi mensili, offrendo agli abbonati l’accesso a contenuti e vantaggi esclusivi. Il tutto all’interno della stessa piattaforma con cui i creator già interagiscono con loro.

È possibile impostare un prezzo mensile a scelta, attivare il pulsante “Abbonati” sul proprio profilo e offrire Post, Storie, Reel e Live per gli abbonati. È possibile creare reel, post e storie solo per gli abbonati, condividere contenuti esclusivi, usare adesivi interattivi nelle storie o realizzare dirette riservate agli abbonati. Le storie esclusive più recenti verranno automaticamente salvate in una sezione delle storie in evidenza visibile solo agli abbonati.

Sarà consentito dare agli abbonati accesso o informazioni speciali all’interno di canali dedicati esclusivamente a loro. Infine un badge per gli abbonati che, lo vedranno apparire accanto ai commenti e ai messaggi inviati, in modo da identificarli facilmente e rendere prioritarie le interazioni con loro.

Come ottenere il massimo dagli abbonamenti

La condivisione di contenuti esclusivi con gli abbonati attraverso più formati aiuta a creare una community in modi diversi. Il Manuale sugli abbonamenti di Instagram fornisce suggerimenti e best practice, tra cui come attivare le offerte per aiutare i creator ad aumentare e fidelizzare gli abbonati.

 

AGI – Sono appena stati stanziati dall’Ue 43 miliardi di euro per potenziare l’industria dei semiconduttori, settore sempre più strategico negli equilibri globali. Ma a che punto è l’Europa in termini di posizionamento su questo tema? Una risposta arriva da “Semiconductors Chips. What published academic research can tell us”, il nuovo report di Elsevier, uno dei più importanti editori scientifici del mondo, che conta più di tremila riviste accademiche in ogni ambito, che ha esaminato la produzione accademica globale sul tema dei semiconduttori dal 2003 al 2022.

La Cina produce il 40% di tutta la ricerca mondiale sui semiconduttori

Guardando al 2022, gli ultimi dati disponibili, ciò che emerge è che nonostante oggi l’Europa ricopra la seconda posizione mondiale dal punto di vista delle pubblicazioni sul tema, con 15.000 paper nell’ultimo anno, la distanza con la Cina – leader incontrastato con 30.000 output nello stesso periodo, circa il 40% della produzione globale in materia – è decisamente importante.

Ancora di più se si considera che lo stesso numero di produzioni, 15.000, solo 5 anni prima, nel 2017, consentivano all’Europa di vantare una posizione di leadership. Insomma, mentre la regione europea si è mostrata incostante, passando dalle 15.000 pubblicazioni del 2017 alle circa 17.000 del 2019, per tornare alle 15.000 nel 2022, la Cina ha continuato a investire su questo tema, anno su anno, passando dai 13.000 output del 2017 ai quasi 30.000 del 2022.

“I recenti investimenti dimostrano non solo la consapevolezza dell’Europa, fino a pochi anni fa leader mondiale nella ricerca sul tema, del ruolo strategico del settore, ma anche la sua vocazione collaborativa, di cui è un chiaro esempio il progetto IPCEI ME/CT a sostegno della ricerca e dell’innovazione e della prima diffusione industriale della microelettronica e delle tecnologie della comunicazione lungo tutta la catena del valore”, commenta Claudio Colaiacomo, Vice President for Academic Relations. Concepito e notificato da 14 paesi membri, il progetto prevede 8,1 miliardi di euro di finanziamenti pubblici, con la previsione di ulteriori 13,7 miliardi di investimenti privati. “Un’iniziativa che, combinata ai finanziamenti destinati specificamente all’industria dei semiconduttori, potrebbe giocare un ruolo fondamentale nell’inversione della tendenza che vede affermarsi il primato cinese, rilanciando la competitività europea su scala globale”, aggiunge Colaiacomo.

Europa al secondo posto

Tonando al report, i ricercatori di Elsevier analizzano gli ultimi 20 anni in Europa (considerando i paesi CE insieme a Svizzera, Norvegia e Regno Unito) osservando una crescita non lineare della produzione accademica intorno alle tematiche dei semiconduttori, con le punte maggiori dopo il 2008 e il 2020, in linea con il trend mondiale.

Dal 2017, autori europei compaiono nel 25% di tutta la ricerca pubblicata sui semiconduttori, con circa 104mila articoli accademici, il 54% del quale pubblicato con collaborazioni internazionali. Quest’ampia produzione scientifica colloca l’Europa al secondo posto al mondo dopo la Cina, ma comunque, come già anticipato, a una certa distanza.

Guardando alle università più attive, il Politecnico di Milano è la prima università italiana, al 15esimo posto con 1.220 pubblicazioni. Tra le aziende europee che pubblicano ricerca in questo settore, Leonardo è la prima italiana ad apparire nella lista delle 100 aziende europee più prolifiche, al 42esimo posto con 35 paper.

Oltre 56mila articoli internazionali sono pubblicati da autori europei (54% del totale). La maggior parte dei Paesi europei collabora con i propri vicini, mentre, al di là dell’Europa, gli Stati Uniti si posizionano al primo posto con 11.657 articoli co-autorizzati, seguiti dalla Cina con quasi 10 mila. Taiwan ha 884 articoli co-autorizzati con l’Europa.

Quanto ai brevetti, la Germania resta il Paese europeo con il portafoglio più grande, nonostante sia diminuito in dimensioni e competitività negli ultimi anni. Il Regno Unito e la Francia occupano il secondo posto per numero di brevetti. L’Italia invece, sebbene abbia un portafoglio piccolo e stabile, ha visto il proprio livello di competitività aumentare, in un’accelerazione che va in direzione opposta a Regno Unito, Germania, Francia e alla maggior parte degli altri paesi UE.

La situazione in Italia

E l’Italia? Tra il 2017 e il 2022, il nostro Paese ha pubblicato circa 12.500 articoli correlati alla ricerca sui semiconduttori, mostrando un andamento stabile negli anni. La qualità della ricerca è piuttosto buona, con un indice di citazioni (FWCI) di 1.25, poco al di sotto della media nazionale di 1.43.

In media, la collaborazione internazionale dell’Italia è leggermente superiore alla media: il 47% delle sue ricerche è in collaborazione con partner internazionali – la media per l’UE 27 è del 42% – e, nel caso della ricerca sui semiconduttori, raggiunge addirittura il 58%.

I tre maggiori partner sono Germania e Stati Uniti. Seguono da vicino Francia e Regno Unito. Gli articoli con collaborazioni internazionali mostrano un FWCI complessivamente più elevato – di 1,41 per gli articoli con co-autori internazionali rispetto a 1,07 per le sole collaborazioni nazionali.

La rincorsa dell’India

A livello globale vediamo negli ultimi 20 anni una forte crescita, con rallentamenti solo temporanei. Soprattutto, si osservano un cambiamento di leadership dagli Stati Uniti alla Cina e una rapida ascesa dell’India. È tra il 2017 e il 2022 che la Cina distacca gli altri paesi a livello mondiale, con un totale nel periodo considerato di circa 144 mila pubblicazioni e avvicinandosi nel solo 2022 alle 30 mila.

Nel 2022, infatti, la Cina è in testa, con quasi 3 volte la quantità di ricerca degli Stati Uniti e quasi il doppio di quella dell’UE+. L’India mostra una crescita significativa, soprattutto se si considera che, se nel 2012 pubblicava appena un quarto degli Stati Uniti, nel 2022 il Paese ha raggiunto i livelli Usa, con un volume complessivo tra 2017 e 2022 di circa 49 mila pubblicazioni, che nel quinquennio la collocano al terzo posto.

In ogni caso, anche l’Europa, gli Stati Uniti e il Giappone con la Corea del Sud vantano un aumento nella produzione accademica dal 2017, seppur inferiore alla Cina. Nel 2012, l’UE+ ha svolto il doppio della ricerca rispetto alla Cina, superata anche dagli Stati Uniti. Ma se la Cina ha continuato a crescere, i paesi UE+ non si sono ancora ripresi dal calo del 2019. Una tendenza che potrebbe essere invertita grazie agli importanti finanziamenti annunciati a fine 2022.

Applicazioni e brevetti

Sulle applicazioni concrete gli USA staccano gli altri Paesi. Gli Stati Uniti, infatti, conquistano il podio per quanto riguarda il trasferimento di tecnologia dalla ricerca accademica alle applicazioni industriali, con l’1,8% di produzione scientifica citata da brevetti. Seguono Corea del Sud e Regno Unito (1,3%) e Canada e Francia (1,2%).

L’UE+ condivide il quarto posto con il Giappone (1%) e la Cina mostra livelli molto inferiori alla media, con lo 0,5%. L’Italia si allinea invece al trend mondiale con lo 0,9%. In termini di brevetti, però, è la Cina che torna a guidare la classifica, con oltre 165 mila brevetti, seguita da Giappone, Sud Corea e Usa. Tuttavia, il quadro è reso ulteriormente complesso dalle differenze in termini di impatto competitivo.

Se infatti la dimensione del portafoglio della Cina è aumentata notevolmente, questa non è ancora riuscita a superare l’impatto competitivo degli altri Paesi. Il Giappone mostra la diminuzione più significativa nella dimensione del portafoglio – che nel 2014 superava gli altri paesi – seguito dagli Stati Uniti.

Le posizioni della Corea del Sud e della Germania non sono cambiate molto e, se la dimensione del portafoglio di Taiwan è quasi invariata, il suo impatto competitivo è significativamente aumentato. Anche le dimensioni dei portafogli di Regno Unito, Francia, India e Canada sono state relativamente costanti negli ultimi anni, ma il loro impatto competitivo è diminuito, in particolare nel Regno Unito. L’Italia si fa invece notare in Europa per l’aumento dell’impatto competitivo nel periodo considerato.

AGI – Un realistico talk show televisivo ambientato nel metaverso alla David Letterman Show, dove gli ospiti, tra i più importanti decision makers del mercato audiovisivo e tecnologico, faranno il loro ingresso nella realtà virtuale con i loro avatar e verranno intervistati da Valentina Ariete ed Antonio Cuomo di Movieplayer.it.

Il progetto Movie Meta Trade verrà lanciato nel mercato in autunno ed avrà periodicità mensile; ogni puntata della rubrica sarà poi disponibile anche on demand. Il format prevede una o più interviste incentrate sui temi caldi più discussi al momento, sui nuovi trend o sulle iniziative più rilevanti in arrivo o ancora in via di definizione.

“Un talk show di successo nel metaverso che combina temi interessanti, ospiti di alto valore, interazione e tecnologia avanzata.”

L’ambiente virtuale che ospiterà Movie Meta Trade sarà interamente creato da Eldorado Agency, grazie alla piattaforma Spatial la quale permette una fruizione di spazi virtuali 3d da device desktop, mobile e visori vr: in questo modo, gli intervistatori e gli ospiti saranno in grado di interagire in un ambiente virtuale realistico, senza l’utilizzo di uno studio televisivo tradizionale.

Gli ospiti avranno anche la possibilità di mostrare contenuti multimediali di vario tipo e interagire con il pubblico selezionato per la diretta live. Eldorado Agency è una società specializzata nella consulenza e nella progettazione di soluzioni web 3, tra cui blockchain, metaversi, NFT e intelligenza artificiale.
Grazie a questa collaborazione Movie Meta Trade potrà contare su un ambiente virtuale innovativo e all’avanguardia, che offrirà agli utenti un’esperienza immersiva e coinvolgente.

Come cambia il prodotto audiovisivo

“L’obiettivo che perseguiamo – spiega Manuela Cacciamani, Presidente dell’Unione Editori e Creators digitali di ANICA – è quello di promuovere l’industria dei contenuti digitali nell’audiovisivo, codificare i nuovi mestieri, cooperare con scuole e università per la formazione di nuove figure professionali e diventare un riferimento per le istituzioni nel comparto dell’innovazione.  Per questo sono orgogliosa che il primo talk show in onda sul metaverso sia realizzato da nostri associati. E’ la dimostrazione che l’intuizione del Presidente Rutelli di creare una rete di imprese del settore digitale sia assolutamente lungimirante”.

 
“Movie Meta Trade nasce come format innovativo”, ha dichiarato Fabrizio Marchetti direttore marketing di Netaddiction per l’industry audiovisiva “volto ad avvicinare la proposta editoriale verticale sull’intrattenimento di Netaddiction, il settore del cinema e delle piattaforme streaming, all’incessante sviluppo tecnologico di soluzioni web 3 che andranno a plasmare le nostre esperienze cognitive nei prossimi cinque-dieci anni”.
 
“Movie Meta Trade rappresenterà un’esperienza immersiva unica per gli utenti ed al contempo un’occasione per l’industria cinematografica di presidiare palcoscenici ancora inesplorati che richiedono nuove modalità e nuovi registri comunicativi. Il mondo del cinema ha con Movie Meta Trade l’opportunità di rivolgersi al pubblico, in un modo in cui nessuno ha mai fatto prima in Italia”, conclude Fabio Massimo Cocaina, Ceo & Co-founder Eldorado Agency.
 

Meta e Microsoft annunciano che Llama 2, la nuova generazione del modello linguistico open source dell’azienda che possiede Facebook, Instagram e Whatsapp, sarà disponibile a titolo gratuito sia per la ricerca, sia per l’uso commerciale. L’accordo di cooperazione è stato dato insieme dai due leader, Mark Zuckerberg e Satya Nadella. 

Sono inclusi i parametri “weight” del modello e il codice di partenza per le versioni pre-addestrate e perfezionate a livello conversazionale (parametri 7B, 13B e 70B). È possibile, dunque, accedere ai modelli di Llama 2 dal sito dedicato o tramite Microsoft Azure e Windows, Amazon Web Services e Hugging Face.

“Riteniamo che un approccio aperto con un’ampia accessibilità sia la strada giusta per sviluppare utilizzando le potenzialità offerte attualmente dai modelli di Intelligenza Artificiale”, scrive Meta in un comunicato, spiegando che l’approccio riguarda “in particolare quelli come Llama 2, che operano nel settore dell’IA generativa, dove la tecnologia continua ad avanzare rapidamente grazie a progressi reali e qualitativi”.

Il compiacimento di Zuckerberg per l’operazione

Visibile è stata la soddisfazione espressa da Zuckerberg durante l’annuncio: “Stiamo collaborando con Microsoft per presentare Llama 2, la nuova generazione del nostro modello linguistico open source. Llama 2 sarà disponibile a titolo gratuito per la ricerca e per l’uso commerciale”.

E ancora: “Meta ha una lunga esperienza di open sourcing rispetto alla nostra infrastruttura e al nostro lavoro sull’intelligenza artificiale: da PyTorch, il più importante framework per l’apprendimento automatico, a modelli come Segment Anything, ImageBind e Dino, fino all’infrastruttura di base nell’ambito dell’Open Compute Project. Questo ci ha aiutato a costruire prodotti migliori, favorendo il progresso del settore”.

L’open source, secondo il capo di Meta, “promuove l’innovazione perché consente a un numero maggiore di sviluppatori di lavorare con le nuove tecnologie. Inoltre, migliora la sicurezza perché quando i software sono aperti, più persone possono studiarli per identificare e risolvere potenziali problemi. In generale, credo che se l’ecosistema online fosse più aperto si otterrebbero maggiori progressi e questo è il motivo per cui stiamo rendendo Llama 2 open source”.

“Oggi – spiega ancora – rilasciamo modelli pre-addestrati e perfezionati con i parametri 7B, 13B e 70B. Llama 2 è stato pre-addestrato su un volume di dati del 40% superiore rispetto a Llama 1 e sono stati apportati miglioramenti alla sua architettura. Per i modelli perfezionati, abbiamo raccolto più di 1 milione di annotazioni umane e abbiamo applicato il perfezionamento supervisionato e l’apprendimento rinforzato con il feedback umano (RLHF) con risultati eccellenti in termini di sicurezza e qualità”. Infine l’invito a testare il tutto: “Non vedo l’ora di vedere cosa costruirete!”.

AGI – Una cosa alla quale ormai siamo abituati è sentire lo squillo di un iPhone nella quasi totalità delle serie tv. Almeno in quelle americane. C’è la questione della leggenda metropolitana secondo cui Apple pagherebbe gli studios per fare usare i suoi device nelle produzioni di Hollywood (a condizione che non siano mai nelle mani dei cattivi). Ma c’è, soprattutto, il fatto che negli Stati Uniti gli iPhone – e quindi il loro sistema operativo iOs – sono molto più diffusi dei telefoni che usano Android: Samsung e Google (con i suoi Pixel) su tutti.

Se si vanno a guardare le quote di mercato negli Usa, secondo StatCounter, la distribuzione è 62.13% iOs e 37.47% Android. Ma se si va a guardare il dato globale, la proporzione è invertita: 67.56% Android e 31.6% iOS.

Il perché è presto detto: in molti Paesi in cui le persone hanno un reddito disponibile molto basso il primo fattore nella scelta di un telefono è il costo. In quelle aree, Apple non può competere con Google. Il motivo principale per cui Android detiene la quota di mercato globale è probabilmente limitato all’Asia, un continente molto popolato, dove più di 320 milioni di persone vivono in condizioni di estrema povertà e probabilmente non guardano i marchi o le caratteristiche quando scelgono un telefono: finché può effettuare chiamate e (a volte) essere online, ha raggiunto il suo scopo.

La situazione in Italia riflette quella del mercato globale: sempre secondo StatCounter, il mercato è per il 68,46% Android e per il 31,09% iOs. Del residuo non vale la pena parlare. Ma mentre quel terzo di iOs è tutto di Apple, i due terzi di Android sono frammentati. Fino al 2019, la distribuzione dei marchi di smartphone era abbastanza netta: un terzo Apple, un terzo Samsung e un terzo Huawei. Poi, dopo il celebre ban sul colosso cinese, quel 30% è stato ulteriormente parcellizzato. In molti si sono gettati su quella fetta e tutti con esiti diversi: Oppo, Xiaomi, realme, Vivo e, più di recente, Honor.

Honor merita una particolare attenzione, perché – usando una citazione abusata – si potrebbe dire che dopo quattro anni la casa cinese che si è faticosamente emancipata da Huawei (di cui fino al 2019 è stata uno spin-off) è tornata per riprendersi quello che è suo. Già, ma cos’era suo? Una quota del 9%, che era costantemente in crescita grazie al successo di alcuni modelli (vedi l’Honor 8) e soprattutto il know-how e le tecnologie rilevate dalla casa madre: batterie e fotocamere su tutte.

Ma il ritorno sulla scena non è stato semplice come previsto: nonostante la qualità di prodotti come la serie Magic, Honor ha dovuto fare i conti con una diffusa disaffezione nei confronti del sistema operativo Android che sta pesando sul mercato di tutti i marchi a vantaggio di Apple.

Secondo gli ultimi dati di Cirp, negli Usa il 15% dei nuovi utenti Apple veniva da un dispositivo Android  e se da una parte è vero che il mercato americano è sempre stato piuttosto fertile per la Mela, dall’altra, in occasione di una conversazione con gli investitori, il CFO di Apple, Luca Maestri, ha sottolineato che “dove la quota di mercato Apple è bassa, l’azienda tende ad aggiungere nuovi clienti”. Il che significa che anche in mercati meno favorevoli, quindi, il tasso degli utenti che passano da Android a iPhone potrebbe essere anche superiore al 15%.

Per cercare di capire cosa stia accadendo nel mercato degli smartphone e cosa stia in particolare succedendo a quello di Android abbiamo intervistato Pier Giorgio Furcas, da pochi mesi direttore commerciale di Honor, dove è arrivato da Huawei e con una promessa ambiziosa: vendere 600 mila smartphone entro la fine dell’anno, a cominciare dalla serie 90, appena lanciata proprio nella fascia di prezzo media, tra i 300 e i 550 euro.

Furcas, il suo, in realtà, è un ritorno in Honor, dove fu artefice del ‘miracolo’ del modello 8

Sono entrato in Huawei nel 2016. e mi hanno chiesto di seguire Honor alla fine del 2016, quindi ho iniziato nel 2017. Honor 8 fu un grande caso, e fu il momento in cui Honor venne ben conosciuta in Italia. Poi come sono andate le cose lo sappiamo tutti.

Però non ha mai tradito la causa: è sempre rimasto nell’abito delle case cinesi

Gli ultimi anni sono stati difficili per ovvi motivi. Non ho abbandonato la causa perché era il momento in cui bisognava restituire a l’azienda quello che l’azienda mi aveva dato. Ma quando capisci che il tuo valore aggiunto viene meno, è chiaro che si deve chiudere un’esperienza quindi sono rimasto fino all’ultimo e ho lasciato quando proprio non c’era più niente da fare.

E ora?

Devo cercare di portare questa azienda al ruolo che secondo me le spetta, visto e considerato qual è oggi il parterre dopo il collasso di Huawei. Abbiamo visto Oppo, abbiamo visto Xiaomi abbiamo visto Vivo, che è stata una meteora, e c’è realme. Insomma sono in tanti.

Perché proprio Honor dovrebbe conquistare quella fetta di mercato che altri non sono riusciti ancora a monopolizzare?

Perché purtroppo il mercato non puoi affrontarlo senza essere strutturato nell’organizzazione, senza esserlo nei processi, senza una chiara politica commerciale. Ci sono mercati dove questo tipo di atteggiamento può funzionare, nelle varie regioni del mondo. In Italia e generalmente nel mercato europeo hai bisogno di brand che siano affidabili; quindi, devi avere una storia da raccontare al mercato, fino all’utente finale, ma anche ai tuoi partner. Deve raccontare una storia che sia credibile: chi sei, cosa vuoi fare, dove vuoi andare, qual è il tuo target nei prossimi 5 anni, anche se oggi sappiamo che il medio termine si è un ridotto ed è più vicino al breve termine

E qual è la storia che volete raccontare?

Una idea chiara di quello che l’azienda vuole rappresentare sul mercato italiano per i prossimi 3 anni. Un’azienda che abbia un approccio di crescita, ma una crescita sana. Non vogliamo drogare il mercato, ma controllare l’immissione del prodotto, cercare il giusto posizionamento, rispondere no alle richieste di erosione dei prezzi che vengono fatte dal mercato retail, perché oggi sappiamo che soprattutto sul mercato Android le cose non vanno così bene.

Che cosa sta succedendo sul mercato Android? Che cos’è che non sta funzionando più?

Quello che ho notato è che il mercato, in particolar modo è sotto i 200 euro, è stato svilito. Una volta si parlava di design, di schermo, si parlava di fotocamera, si parlava di batteria, si parlava di supercharge, si parlava di tutti quei software che accompagnavano l’esperienza d’uso del telefono, fosse anche solo la capacità di inquadrare un fiore e dirti che fiore era. Ecco: queste sono venute a mancare e in particolar modo sotto i 200 euro si parla solo di memoria perché ci sono ancora dei telefoni da vendere a dei prezzi ovviamente bassissimi e questo svilisce il mercato

Ma gli italiani hanno ancora voglia di spendere negli smartphone?

A chi mi dice che gli utenti finali non hanno soldi io rispondo che oggi i ristoranti sono pieni e la gente viaggia. Allora vuol dire che si è persa la volontà di raccontare all’utente finale una storia e importa solo abbattere i prezzi e cercare di buttare gli smartphone sul mercato, con il risultato che il cliente alla fine non vede la differenza tra uno smartphone che costa meno di 200 e uno che ne costa di più. Io devo spiegare un’ultima e finale perché deve spendere 3-400 euro anziché spenderne sotto i 200.  Quando l’utente finale entra nel punto vendita, deve vedere il prodotto, lo deve riconoscere

Quindi cercate un rapporto molto più stretto con l’open market?

Molto più stretto perché l’open market oggi registra un 70% di quota rispetto al totale del mercato, lasciando agli operatori solo il 30%.

Che feeling avete da parte del pubblico su Honor? Non stiamo parlando di un marchio che debutta adesso, ma di un marchio che ritorna e cerca di farlo in maniera pesante

Honor ha avuto un successo molto importante, specialmente in Italia che ricordo essere stato il terzo mercato più importante dopo la Russia e il Messico. Prima del ban americano Huawei registrava il 30% di quota mercato e Honor ne aveva il 9%. Ed era l’unico caso nel mondo dove la politica commerciale aveva fatto sì che due brand potessero crescere assieme senza che uno danneggiasse l’altro.

In occasione di un evento a Milano a inizio maggio avete sparato un numero ambizioso: 600 mila telefoni da qui alla fine dell’anno…

Ho detto tre cose. Ho detto che nel secondo trimestre volevo fare tre volte i risultati dello stesso periodo dell’anno precedente e oggi, che siamo a luglio, ho portato a casa quel numero senza drogare il mercato e senza fare dumping. Avevo detto che avrei fatto crescere il prezzo medio e il prezzo medio sta crescendo. Avevo detto che 500 mila pezzi era il nostro obiettivo di sell-out, ma che avremmo fatto il possibile per spingerci fino a 600 mila. Questa prima parte dell’anno mi sta dando ragione. Mi preoccupa però la discesa di Android.

Però questo è un problema che non riguarda soltanto Honor. Quindi, torniamo alla domanda di prima, che cosa sta succedendo ad Android? Perché non piace più?

Quello che secondo me è venuto a mancare oggi nel mondo Android è che non c’è più niente che sia veramente innovativo. Prima si spendeva veramente tantissimo tempo a raccontare il prodotto nelle sue caratteristiche principali. Quello che manca è che non si racconta più. Tutti ricordano le presentazioni monster che venivano fatte.

Quella era però un’epoca in cui sembrava che il consumo occidentale potesse andare perfettamente d’accordo con la produzione orientale e in particolare cinese. Poi questo rapporto di fiducia è stato meso in crisi. Può essere recuperato?

Sicuramente si può recuperare, dipende dai venditori. Prima del ban americano c’erano le fasce alte di prezzo, sopra gli 800 euro, quella bassa e un’ampia fascia intorno ai 600 euro in cui Huawei occupava il 23% del mercato. Quando è venuta meno Huawei, chi è che si è preso quella quota? Nessuno. Ci hanno provato in tanti, ma secondo me l’hanno fatto in maniera molto fredda e pensando di poter portare a casa subito il numero. Ma il numero va costruito nel tempo

Ma quella fascia di mercato esiste ancora?

Si è svuotata, si è riempita quella sotto i 200 euro

Il progetto di creare un ecosistema di device è ancora in piedi?

Il progetto è ancora molto valido. Continuiamo a credere nell’ecosistema, perché c’è chi l’ha fatto e quindi possiamo farlo anche noi. Però le cose fanno fatte bene. Noi stiamo iniziando con un tablet, sui laptop siamo pronti, ma il mercato è saturo e registra il calo del 40% è chiaro che non è il momento di entrare. Ma credo che tra febbraio e marzo del 2024 dovremmo essere nelle condizioni di poter fare una politica commerciale di introduzione dei laptop in Italia.

Vi siete dati un tempo entro il quale pensate di riuscire a raggiungere il risultato che vi siete prefissato?

I cinesi non sono pazienti, questo non è un mistero, perché vorrebbero ovviamente tutto e subito. Ma oggi la governance di Honor stabilisce che per il rispetto della catena del valore affinché una cosa possa andare bene devono guadagnarci tutti, a cominciare degli stakeholder in Cina, dai partner nelle varie regioni e dai clienti. Se uno di questi tre non guadagna, il gioco è già finito. Dobbiamo portare a casa il profitto che consenta di sostenere la baracca. Vorrei dire due anni. Oggi nell’open market stiamo crescendo ad una velocità importante e per me entro la fine del 2024 potremo dire di aver fatto un bel lavoro e avere il 10% del mercato. Sarebbe veramente una grande soddisfazione anche personale.

AGI – “La dose consigliata dell’assunzione di aspartame è di 40 mg per kg, ma il rischio non è mai zero”. E’ il commento di Francesco Branca, direttore del Dipartimento della nutrizione dell’OMS, a seguito dello studio sull’aspartame dell’International Sweeteners Association, dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro e del Comitato congiunto di esperti FAO/OMS per gli additivi alimentari.

“Gli esperti hanno stabilito che la dose ritenuta, in questo momento, accettabile è di circa 40 mg kg di peso corporeo, cioè di 2800 mg per un individuo di 70 kg, al giorno”, ha spiegato Branca. “Il lavoro che è stato fatto sia dall’Agenzia per la Ricerca sul Cancro e dal gruppo che valuta gli additivi ha concluso che c’è una possibilità che l’aspartame sia responsabile di certi tumori; quindi, è una probabilità che non necessariamente si materializza perché dipende dalla dose assunta”, ha continuato Branca.

“Non superare l’assunzione giornaliera di questa quantità riduce notevolmente il rischio a livelli minimi ma non lo porta a zero”, ha sottolineato ancora Branca. “Consumi piuttosto elevati di bevande contenenti l’aspartame possono essere rischiosi; considerando il contenuto, per esempio nelle bevande gassate, dove a seconda del prodotto, una lattina può contenere dai 200 a 300 mg, è ritenuto pericoloso il consumo di oltre 9 lattine al giorno, circa 3 litri di bevande”, ha precisato Branca.

“La maggior parte dei consumatori si mantiene abbastanza di sotto il limite stabilito ma quello che ci sentiamo di raccomandare come OMS è di limitarne i consumi”, ha raccomandato Branca. Nella società moderna al consumo di bevande con zero calorie, contenenti aspartame o altri dolcificanti, è associato il controllo della forma fisica.

“E’ diffusa l’idea che consumare dolcificanti possa portare un beneficio, per esempio al controllo dell’obesità, però non è così; a lungo termine non c’è un non c’è un apporto positivo dettato dal consumo dei dolcificanti contenuti in queste bevande”, ha datto Branca. “I consumatori occasionali di prodotti che contengono dolcificanti hanno sicuramente un rischio molto basso anche se non nullo, quelli che si avvicinano a questo limite di sicurezza destano maggiore preoccupazione”, ha concluso Branca. 

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