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AGI – Sono già mesi che si succedono le voci che il leader nordcoreano, Kim Jong Un, avrebbe scelto la figlia di 10 anni Ju Ae per la sua successione. E oggi i media sudcoreani tornano sull’indiscrezione, dopo che nei giorni scorsi il nome della bimba, sui giornali di Pyongyang, veniva accompagnato dall’appellativo ‘hyangdo’, grande guida, titolo riservato ai più alti leader. Gli analisti hanno notato che era la prima volta che Pyongyang presentava la figlia di Kim Jong Un in questo modo. “Normalmente, il termine ‘hyangdo’ è usato per descrivere funzionari di alto rango”, ha confermato Koo Byoung-sam, portavoce del ministero dell’Unificazione di Seoul. La bambina spesso appare con il padre in occasione di eventi importanti. “Non escludiamo la possibilità che Ju Ae sia stata scelta per la successione” di Kim Jong Un, ha aggiunto il portavoce. I media ufficiali nordcoreani hanno iniziato a diffondere le sue immagini nel 2022, quando la piccola accompagnò il padre durante un test di un missile balistico intercontinentale. Da allora, è stata chiamata “la stella del mattino della Corea” o “tesoro”. Ju Ae è stata vista in vari eventi ufficiali presieduti da Kim Jong Un, comprese manovre militari, una visita a una fabbrica di armi o a un allevamento di pollame. Nelle immagini pubblicate sabato da Pyongyang, l’adolescente partecipa a esercitazioni con il paracadute, insieme a suo padre e ad alti ufficiali militari. Ma la storia di Ju Ae è comunque avvolta nel mistero. Sono pochissimi gli aspetti noti sul suo conto. Nata presumibilmente nel 2013, secondogenita di Kim Jong Un e Ri Sol Ju, dovrebbe avere un fratello del quale non si conosce neppure il nome. Il ragazzo sarebbe nato nel 2010 ma le autorità sudcoreane hanno affermato di “non essere in grado di confermarne” l’esistenza. Se Ju Ae arrivasse finalmente al potere, si tratterebbe di una nuova successione ereditaria dalla fondazione del Paese nel 1948. E’ infatti a quella data che risale il dominio della famiglia Kim in Corea del Nord, quando Kim Il Sung salì al potere all’indomani della Seconda Guerra Mondiale. Quando morì nel 1994, suo figlio Kim Jong Il prese il controllo del Paese. Kim Jong Un e’ invece salito al potere nel dicembre 2011 dopo la morte del padre Kim Jong Il. La piccola Kim Ju Ae potrebbe in teoria rappresentare la quarta dinastia dei Kim al potere.

AGI – Il presidente russo Vladimir Putin rimarrà al Cremlino fino al 2030: comodamente rieletto in un voto di fatto senza rivali, ha ottenuto la sua più grande vittoria da quando è al potere, un mandato che gli consentirà di continuare la campagna militare in Ucraina, la brutale repressione del dissenso e il braccio di ferro con l’Occidente. Rivolto al Paese al termine della giornata, il capo del Cremlino ha ringraziato quanti lo hanno votato e hanno contribuito a creare le condizioni per il “consolidamento politico interno” e ha avvertito che non si lascerà “intimidire”. Poi per la prima volta ha parlato della morte del suo principale oppositore, Alexei Navalny.

Ancora non ci sono i dati definitivi, ma lo ‘zar’ 71enne veleggia verso la rielezione con una percentuale record, quasi l’88% dei voti, dieci punti in più rispetto al 2018 (76,5), e un’affluenza alle urne di oltre il 70%. I risultati elettorali non sono stati influenzati nè dalla morte in carcere di Navalny, nè dagli appelli al ‘voto di mezzogiorno’ (l’invito alla protesta lanciato dalla vedova del dissidente, Yulia Navalnaya) nè dalle incursioni al confine ucraino degli ultimi giorni. Un risultato scontato ma che Putin ha voluto rimarcare nel suo discorso per la vittoria, un discorso centrato sulla guerra, al quartier generale della sua campagna elettorale vicino al Cremlino.

 

“Ora la Russia è più forte”, ha detto ringraziando i soldati al fronte, promettendo che “tutti i piani saranno concretamente realizzati e gli obiettivi raggiunti, piani grandiosi che faremo di tutto per realizzare”. Interrogato sulla possibilità di un conflitto diretto con la Nato, ha confermato che “tutto è possibile nel mondo moderno” ma sottolineato che sarebbe “un passo avanti verso una terza guerra mondiale su vasta scala”.

 

 

 

“E non credo -ha aggiunto- che nessuno sia interessato a questo”. Poi per la prima volta ha parlato della morte di Navalny, chiamandolo per nome: ha respinto le accuse di averlo ucciso e sostenuto che qualche giorno prima del decesso, nella sperduta prigione nell’Artico, aveva dato il ‘via liberà allo scambio del dissidente con alcuni prigionieri russi in Occidente. “Che mi crediate o no, l’uomo che mi ha parlato non aveva finito la frase e io ho detto: sono d’accordo. Ma sfortunatamente è successo quel che è successo”.

 

Putin ha spiegato che qualcuno che non appartiene all’amministrazione presidenziale – nei giorni scorsi gli alleati di Navalny avevano parlato dell’oligarca Roman Abramovich – aveva proposto di scambiare il dissidente con i russi imprigionati nei Paesi europei. “Ho accettato ma a una condizione: lo scambiamo, ma che non torni più. Che se ne rimanga lì. Ma questa è la vita”. E poi, parlando del “signor Navalny”, ha descritto la sua morte in una prigione nel Circolo Polare Artico come “un triste evento”.

Dall’esilio o dal carcere, i leader dell’opposizione avevano esortato ad andare alle urne in massa a mezzogiorno in memoria di Navalny e a votare contro Putin. E centinaia di persone hanno seguito l’appello, in prima fila la vedova del dissidente che ha votato a Berlino scrivendo sulla scheda il nome del marito. Oggi Putin dovrebbe celebrare la sua vittoria, nel decimo anniversario dell’annessione della Crimea, con un concerto nella Piazza Rossa di Mosca.

 

Le reazioni internazionali

Borrell, elezioni basate sulla repressione

“Non sono state elezioni libere ed eque, senza osservatori dell’Ocse. È un ambiente politicamente molto ristretto. E questo è quello che diplomaticamente posso dire ma c’e’ molto di piu’: queste elezioni sono state basate su repressione e intimidazione. E sono state tenute nei territori ucraini occupati violando la sovranità ucraina”. Lo ha dichiarato l’Alto rappresentante dell’Ue per la Politica estera, Josep Borrell, al suo arrivo al Consiglio Esteri. 

 

 “L’Unione europea condanna fermamente lo svolgimento illegale delle cosiddette ‘elezioni’ nei territori dell’Ucraina temporaneamente occupati dalla Russia: Repubblica autonoma di Crimea e città di Sebastopoli, nonché in alcune parti di Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e nelle regioni di Kherson” – ha aggiunto – Le cosiddette ‘elezioni’ in questi territori rappresentano l’ennesima violazione manifesta da parte della Russia del diritto internazionale, inclusa la Carta delle Nazioni Unite, e dell’indipendenza, sovranità e integrità territoriale dell’Ucraina

Ong Golos, campagna incostituzionale

La Ong Golos, che da 20 anni monitora le elezioni in Russia e bollata in patria come “agente straniero”, ha denunciato che “mai prima d’ora si è vista una campagna per le presidenziali cosi’ lontana dagli standard costituzionali”.
“La campagna si è svolta in una situazione in cui gli articoli fondamentali della Costituzione russa, che garantiscono i diritti e le libertà politiche, sostanzialmente non erano in vigore e la Costituzione stessa è stata emendata per aggirare il vincolo dei due mandati del presidente”, si legge nella nota della Ong.

“Le elezioni si sono svolte in condizioni in cui l’apparato statale, obbligato a essere politicamente neutrale e ad agire nell’interesse della società, è stato effettivamente coinvolto nella propaganda, nella coercizione e nel controllo sugli elettori”, denuncia Golos. “Nel paese è effettivamente nata la censura militare, che è stata attuata attraverso la paura e la forza”, prosegue la Ong, “la politica non è più oggetto di discussione, nemmeno in cucina, anche con i vicini e i propri cari”.

“L’apoteosi”, sottolinea la Ong di osservatori, “è stata l’ultimo giorno delle votazioni, quando in alcune regioni i rappresentanti delle forze dell’ordine hanno controllato l’espressione della volontà degli elettori, punendoli per scritte ‘sbagliate’ sulla scheda elettorale o per l’orario ‘errato’ di arrivo al seggio elettorale per votare e ha persino chiesto di rivelare il segreto della preferenza. Niente di simile è mai accaduto su tale scala nelle elezioni in Russia”, conclude la Ong.

“Se la Costituzione russa afferma che la sovranità, di cui amano tanto parlare, appartiene al popolo, fonte del potere, allora in realtà, durante la campagna elettorale e la fase preparatoria, gli organizzatori delle elezioni hanno fatto tutto il possibile affinchè la distanza tra il popolo e la sua capacità di esercitare questo potere divenne insormontabile”.

 

Xi, rielezione riflette sostegno popolo russo

 Nel suo messaggio di congratulazioni a Vladimir Putin per la rielezione al Cremlino, il presidente cinese Xi Jinping ha sottolineato che il risultato “riflette pienamente il sostegno del popolo russo” al suo leader. Lo riporta Ria Novosti citando la tv cinese Cctv. 

L’Iran si congratula con Putin

Anche il presidente iraniano, Ebrahim Raisi, si è congratulato con Vladimir Putin per la sua vittoria nelle elezioni concluse ieri in Russia. Lo ha annunciato l’ambasciata iraniana a Mosca, come riporta l’agenzia russa Ria Novosti. 

AGI – Gli addetti alla nettezza urbana hanno impiegato quattro ore per raccogliere 15 tonnellate di rifiuti lasciati dai festaioli che domenica hanno partecipato a un’imponente festa di strada a Paceville, quartiere simbolo della movida dell’isola.  Migliaia di persone si sono riversate nelle città balneari, unendosi al resto del mondo per celebrare il giorno di San Patrizio, patrono dell’Irlanda.

 

Il Segretario parlamentare per la pulizia pubblica Glenn Beddingfield ha dichiarato che 22 addetti alle pulizie hanno trascorso quattro ore a pulire, elogiandoli per il loro “grande lavoro di squadra”.

AGI – L’Unione Europea ha annunciato un pacchetto di prestiti, sovvenzioni e accordi di cooperazione energetica con l’Egitto da 7,4 miliardi di euro. Lo ha riferito ai cronisti un alto funzionario della Commissione Europea. Obiettivo degli accordi è ottenere la cooperazione del Cairo nella gestione dei flussi migratori irregolari.

 

Gli accordi verranno siglati oggi dal presidente egiziano, Abdel Fattah Al Sisi, e dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, a capo di una missione congiunta europea alla quale partecipano la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, il primo ministro belga e presidente di turno del Consiglio dell’Unione Europea, Alexander De Croo, il cancelliere austriaco, Karl Nehammer, e i primi ministri di Grecia e Cipro, ovvero altri due Paesi interessati dalla rotta migratoria mediterranea, Kyriakos Mitsotakis e Nikos Christodoulidis.

Un Paese stretto tra due conflitti

L’Egitto è stretto tra il conflitto nella striscia di Gaza a Est, il perenne caos libico a Ovest e la guerra civile che da un anno strazia il Sudan a Sud. Il Paese, che versa in una grave crisi economica, ospita, secondo l’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni, circa nove milioni di rifugiati, tra cui quattro milioni di sudanesi e un milione e mezzo di siriani. “L’Egitto è un paese critico per l’Europa oggi e per i giorni a venire”, ha affermato il funzionario della Commissione, che ha voluto restare anonimo e ha sottolineato la “posizione importante dell’Egitto in un’area molto difficile, al confine con la Libia, il Sudan e la Striscia di Gaza”.

 

Il funzionario dell’Ue ha affermato che l’accordo comprende iniziative su “sicurezza, cooperazione antiterrorismo e protezione dei confini, in particolare quello meridionale” con il Sudan. L’accordo fa seguito ad altre intese che l’Ue ha siglato con Libia, Tunisia e Mauritania per arginare il flusso di migranti irregolari attraverso il Mar Mediterraneo.

Una profonda crisi economica

L’Egitto è la nazione più popolosa del mondo arabo e ha urgente bisogno di sostegno finanziario a causa di una grave crisi economica segnata da un ingente indebitamento e da un’inflazione in rapida crescita. Il Fondo Monetario Internazionale questo mese ha concordato un pacchetto di prestiti da 8 miliardi di dollari dopo che il Cairo ha applicato un tasso di cambio flessibile e aumentato i tassi di interesse.

 

Nei mesi scorsi il Cairo ha inoltre avviato le trattative per un accordo da 24 miliardi di dollari con gli Emirati Arabi Uniti per lo sviluppo del Sinai e sta negoziando intese economiche per decine di miliardi di dollari tese a modernizzare il canale di Suez. L’accordo con l’Ue prevede cinque miliardi di euro di prestiti, 1,8 miliardi di euro di investimenti e centinaia di milioni per progetti bilaterali, anche relativi alle migrazioni.

 

L’economia egiziana, dominata da imprese legate al settore militare e focalizzata su costosi megaprogetti infrastrutturali, è stata duramente colpita da una serie di recenti shock economici, tra cui l’impatto della pandemia di Covid sul turismo, l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari legato al conflitto in Ucraina e gli attacchi dei ribelli Houthi dello Yemen alle navi nel Mar Rosso, che hanno ridotto le entrate del canale di Suez. Il debito estero dell’Egitto è salito a 164,7 miliardi di dollari, e si prevede che il costo del suo servizio raggiungerà i 42 miliardi di dollari quest’anno. 

AGI – L’Australia settentrionale si sta preparando questa domenica per l’arrivo del ciclone tropicale Megan, che si sta avvicinando alle sue coste con una velocità del vento fino a 165 chilometri all’ora, che lo definisce nella categoria tre su una scala di cinque. Secondo l’Australian Meteorological Service, il ciclone si sta avvicinando alla costa australiana muovendosi in direzione sud-sud-est verso il Golfo di Carpentaria, dove è previsto che arrivi nella notte tra lunedì e martedì per poi perdere forza man mano che avanza nello stato del Territorio del Nord. Si prevede che già stasera, anche se non toccherà la terra, provocherà forti venti e piogge nelle zone costiere vicine al suo percorso. In diverse zone, i servizi di emergenza sono in allerta e hanno chiesto ai residenti del comune di Borroloola, dove lunedì dovrebbe transitare il ciclone, di rifugiarsi in una zona sicura delle loro case o di spostarsi in un altro luogo se necessario. Secondo quanto dichiarato dalla polizia alla televisione di Stato ABC, questa popolazione “corre un rischio maggiore” dopo che il ciclone è passato dalla categoria due alla tre. Le autorità hanno anche chiesto ai residenti di assicurarsi di avere abbastanza acqua potabile e di preparare le loro case per resistere all’impatto della tempesta. La meteorologa Shenagh Gamble ha spiegato in tv che il ciclone dovrebbe attraversare la costa lunedì con “venti molto distruttivi con raffiche fino a 220 chilometri all’ora” e non ha escluso che passi alla categoria 4 su 5. 

AGI – Le immagini di lunghe file di elettori in attesa fuori dai seggi delle città di Mosca e San Pietroburgo sono state diffuse dai media indipendenti come il Moscow Times, per mostrare l’adesione all’appello “mezzogiorno contro Putin”. L’iniziativa, lanciata dal carcere prima di morire dall’oppositore Aleksei Navalny e rilanciata dalla vedova Yulia e da numerosi altri oppositori del regime di Mosca che si trovano all’estero o in Russia, prevedeva l’accesso in massa nell’ultima delle tre giornate elettorale a mezzogiorno (le 10 in Italia) per votare per uno qualsiasi dei candidati alternativi a Putin e creare file ai seggi.

 

 

 

 

L’ultimo appello

Uno dei candidati “esclusi” dal veto della Commissione elettorale centrale russa dalle elezioni presidenziali in corso in Russia, il pacifista Boris Nadehzdin, aveva lanciato un appello ad aderire all’iniziativa lanciata dall’oppositore Aleksei Navalny, morto in carcere un mese fa, del cosiddetto “mezzogiorno contro Putin” o PPP secondo l’acronimo russo. Parlando con i giornalisti al seggio elettorale nella città di Dolgoprudny, nella regione di Mosca, Nadezhdin ha detto di ritenere che “il popolo russo oggi abbia l’opportunità di mostrare la propria posizione su ciò che sta accadendo votando non per Putin, ma per qualcun altro, come ho fatto io”.

 

 

L’iniziativa, rilanciata dalla vedova di Navalny, Yulia, prevedeva che gli elettori vadano tutti a votare per i candidati alternativi a Putin oggi a mezzogiorno, creando file ai seggi. Oltre a ricevere il sostegno di quasi tutti gli oppositori in esilio, come il magnate Mikhail Khodorkovsky, la forma di protesta è stata sostenuta anche da oppositori interni alla Russia come Ekaterina Duntsova, che ha tentato di candidarsi alle elezioni presidenziali, ma non è stata registrata dalla commissione elettorale. Nel tentativo di contrastare i piani dell’opposizione, la Procura russa ha ripetuto per tre volte il suo avvertimento che chiedere o partecipare a tali azioni può portare a pene detentive per aver ostacolato il processo elettorale. Finora non sono stati segnalati arresti per aver partecipato all’azione. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AGI – È stata arrestata la studentessa accusata di aver lasciato una molotov contro un seggio elettorale nel quartiere Moskovsky a San Pietroburgo. Alexandra Karasyova è accusata di ostacolo all’esercizio dei diritti elettorali e al funzionamento dei seggi.

 

 

Si è dichiarata colpevole di fronte al tribunale di San Pietroburgo che ne ha disposto la detenzione preventiva fino al 14 maggio. Secondo gli investigatori, ieri mattina Karasyova, d’accordo con complici non identificati, ha lanciato una molotov contro il muro dell’edificio in via Varshavskaya che ospita un seggio elettorale. L’incendio è stato spento rapidamente e nessuno e’ rimasto ferito.  

 

Un secondo arresto

Un’altra donna, nata nella regione di Yaroslavl, è stata arrestata nell’Ossezia del Nord con l’accusa di aver tentato di danneggiare le schede elettorali in un seggio. “La polizia l’ha arrestata dopo che ha tentato di versare del colorante sulle schede elettorali a Mozdok nella serata di ieri” ha reso noto il ministero degli Interni dell’Ossezia del Nord, “Grazie all’azione degli agenti di polizia, non è riuscita a danneggiare le schede elettorali, ma mentre cercava di scappare ha rovesciato la sostanza sul tavolo dov’era il registro delle liste elettorali”.

 

AGI – Un giocatore professionista di rugby neozelandese morto l’anno scorso a 33 anni è la prima vittima accertata di encefalopatia traumatica cronica – nota come Cte, una malattia degenerativa del cervello – nel Paese. L’ex giocatore degli Auckland Blues Billy Guyton è stato riconosciuto come vittima di Cte dopo che la sua famiglia ha donato il suo cervello all’Università di Auckland. Maurice Curtis, co-direttore della Banca del Cervello, ha dichiarato che un patologo neozelandese ha confermato il secondo stadio di CTE a Guyton, morto nel maggio 2023 a 33 anni. La diagnosi è stata successivamente confermata da uno specialista in Australia. La CTE è stata associata a ripetuti colpi alla testa in diversi sport di contatto ed è nota per causare esplosioni violente, demenza e depressione. Della malattia si è presa consapevolezza dopo l’articolo ‘Game Brain’ scritto da Jeanne Marie Laskas per il periodico GQ nel 2009 e da cui fu tratto il film ‘La zona d’ombra’ che racconta la storia del dottor Bennet Omalu, neuropatologo nigeriano che scoprì la CTE indagando sulla morte di un ex campione di football e della sua strenua battaglia affinchè la NFL, accusata di negligenza per la salute dei giocatori, ne prendesse atto. Il padre di Guyton, John, ha detto a Radio New Zealand che questi sintomi erano evidenti in suo figlio, che è stato costretto a ritirarsi prematuramente nel 2018 dopo aver subito una commozione cerebrale.

 

“Trascorreva ore in un piccolo armadio buio perchè non sopportava la luce – ha detto John Guyton -. Alcune mattine si sedeva sul fondo della doccia piangendo, cercando di raccogliere l’energia per muoversi”. Nel dicembre 2023, quasi 300 ex giocatori di rugby, tra cui Steve Thompson e Phil Vickery, vincitori della Coppa del Mondo con l’Inghilterra lo scorso anno, hanno deciso di intraprendere un’azione legale a causa delle lesioni cerebrali subite sostenendo che la federazione mondiale rugby così come le federazioni inglese e gallese, non hanno adottato misure sufficienti per proteggere la loro salute. Le lesioni causate da colpi alla testa potrebbero essere la causa di altri problemi come la malattia dei motoneuroni, la demenza precoce, l’epilessia e il morbo di Parkinson. In un comunicato la federazione neozelandese ha affermato di aver adottato misure per ridurre il pericolo di colpi alla testa. “La NZR sostiene la ricerca all’avanguardia per comprendere meglio l’impatto a lungo termine del gioco del rugby, in particolare per comprendere la relazione tra commozioni cerebrali e salute del cervello a lungo termine”, si legge nella nota. 

AGI – Mentre arrivano i primi aiuti internazionali via mare a Gaza, c’è stato un raro incontro tra Hamas e gli Houthi: esponenti di spicco del movimento islamista e dei ribelli yemeniti si sono visti per discutere del “coordinamento” delle loro azioni contro Israele, hanno fatto sapere fonti palestinesi. Non si sa dove sia stato il vertice che comunque sarebbe avvenuto la settimana scorsa. Hamas, la Jihad islamica, il Fronte popolare marxista per la liberazione della Palestina e gli Houthi hanno discusso “meccanismi per coordinare le loro azioni di resistenza” per la “prossima fase” della guerra a Gaza; sul tavolo anche il tema del possibile attacco di terra israeliano a Rafah. Hamas, la Jihad islamica e gli Houthi fanno parte del cosiddetto “asse della resistenza”, il gruppo di movimenti ostili a Israele e agli Stati Uniti sostenuto dall’Iran e di cui fanno parte anche gli Hezbollah libanesi e le milizie irachene. Sono mesi che gli Houthi attaccano le navi nel Mar Rosso, una via d’acqua essenziale per il commercio mondiale, tanto che l’Ue ha voluto schierare una missione, Aspides, guidata dall’Italia, proprio per difendere i traffici. Ma nei giorni scorsi il leader dei ribelli Abdul Malik al-Huthi ha minacciato di espandere gli attacchi anche alle navi che evitano il Mar Rosso navigando oltre il Capo di Buona Speranza in Sud Africa. Intanto non si vede alcuna svolta per una possibile tregua tra Israele e Hamas e il rilascio degli ostaggi a Gaza: a ostacolare l’accordo, il fatto che Hamas non abbia detto quanti rapiti sono ancora vivi e che Israele non accetti di consentire ai palestinesi sfollati nel Sud della Striscia di tornare nel Nord. Ieri il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha respinto l’ultima bozza proposta da Hamas, sostenendo che contiene ipotesi “ancora irrealistiche”. Non a caso ha reso noto anche di aver dato l’approvazione al piano militare, progettato dall’esercito, per invadere Rafah, dove si sono rifugiati quasi un milione e mezzo di sfollati. Una delegazione israeliana dovrebbe però recarsi a Doha per continuare i negoziati e questo fa esprimere un cauto ottimismo all’amministrazione Biden: “Il fatto che ci siano ancora colloqui in piedi e ora un’altra opportunità di incontrarsi a Doha è positivo”, ha detto John Kirby, portavoce della sicurezza nazionale della Casa Bianca. Gli Stati Uniti non parteciperanno ai negoziati negli Emirati, ma questo secondo Kirby è un dettaglio ininfluente: “Il fatto che non avremo fisicamente una delegazione non deve essere preso come un segno che non si tratti di un importante passo in avanti”. In questo quadro, l’unica notizia positiva è che sono arrivati i primi aiuti internazionali via mare a Gaza (dopo che le consegne aeree e terrestri si sono rivelate difficili e poco efficaci): la nave dell’ONG spagnola Open Arms e di World Central Kitchen ha raggiunto ieri pomeriggio le coste della Striscia e ha già scaricato quasi 200 tonnellate di cibo e acqua, che saranno distribuite nel Nord dell’enclave palestinese. Ma è una goccia nel mare degli aiuti necessari a un territorio che è allo stremo.

 

 

Wafa, morti almeno 80 civili nelle ultime ore

 

Sono morti almeno 80 civili, la maggior parte dei quali donne e bambini, vittime degli attacchi aerei israeliani nelle ultime ore a Gaza: almeno a sentire le fonti mediche e locali che hanno parlato all’agenzia palestinese Wafa. Per parte sua l’esercito israeliano sostiene di aver ucciso una trentina di miliziani di Hamas nella Striscia. Per il ministero della Salute, gestito dall’organizzazione islamica, dall’inizio della guerra 31.553 persone hanno perso la vita. I feriti sono 73.546. 

AGI – “Io credo che la Nato non debba entrare in Ucraina. Sarebbe un errore entrare in Ucraina” che “noi dobbiamo aiutare a difendersi”, ma “entrare noi a fare la guerra alla Russia significa rischiare la Terza guerra mondiale”. Non usa mezzi termini il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, nel bocciare l’idea più volte ribadita da Macron, che non esclude l’invio di forze di terra occidentali nel Paese. “I nostri militari fanno bene quello che fanno nel Mar Rosso a proteggere le nostre navi, fanno bene quello che fanno in Libano, in Africa, in Iraq. I nostri militari sono portatori di pace, garanzia e libertà. Noi non siamo in guerra con la Russia” ha aggiunto il capo della Farnesina in un colloquio con Bruno Vespa a LetExpo.

 

 

“Tutte le persone di buon senso non vorrebbero” l’escalation del conflitto ha aggiunto il ministro, che è anche tornato sulle parole del Papa che hanno innescato polemiche nelle cancellerie di mezzo mondo. “Il Papa cosa ha detto: io voglio la pace. Mettetevi a un tavolo e fate la pace” ha detto Tajani, “Ma il Papa fa il Papa, deve dire questo. Non mi scandalizza ne’ preoccupa” 

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