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AGI – Nel mese di agosto, il mercato automobilistico dell’Ue è cresciuto del 21%, raggiungendo le 787.626 auto immatricolate, segnando il tredicesimo mese consecutivo di crescita. Lo riferisce l’Acea (European Automobile Manufacturers Association), secondo cui in Italia l’aumento è stato dell’11,9%.

Nonostante agosto sia in genere un mese più debole per le vendite di auto, gli aumenti a due cifre – sottolinea l’Acea -indicano che il mercato dell’UE si sta riprendendo dalla carenza di componenti dello scorso anno. Nella maggior parte dei mercati, si sono registrati incrementi percentuali a due cifre: Germania (+37,3%) e Francia (+24,3%).

Da gennaio ad agosto 2023, le immatricolazioni di autovetture sono cresciute del 17,9% in Ue, per un totale di 7,1 milioni di unità, ma nonostante questo miglioramento, il mercato è ancora lontano dal livello pre-COVID. In particolare, l’Italia ha registrato un incremento del 20,2% e la Spagna del 20,5%, seguite da Francia (+16,6%) e Germania (+16,5%).

Ad agosto, la quota di mercato delle auto a batteria ha superato per la prima volta in Ue il 20% (rispetto all’11,6% dell’agosto dello scorso anno), davanti per la seconda volta quest’anno al diesel e diventando la terza scelta più popolare per gli acquirenti di auto nuove. Lo rende noto l’Acea, secondo cui le auto ibride-elettriche hanno mantenuto la loro posizione di seconda scelta, con una quota di mercato del 24%. Le auto a benzina sono ancora la scelta più popolare, ma la quota di mercato è diminuita dal 38,7% dell’agosto dello scorso anno al 32,7%.

AGI – “Non sta a me dare una pagella: credo che la presidente del Consiglio stia interpretando in maniera corretta il momento, non c’era da essere troppo ottimisti prima, non c’è da essere pessimisti adesso”. Lo ha detto il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, a ReStart su Rai3, rispondendo a una domanda sulla premier Giorgia Meloni. Secondo Bonomi, la prossima legge di bilancio “sarà il banco di prova” e queste sono le priorità: “interventi per redditi sotto i 35 mila euro, il taglio del cuneo fiscale, perché dobbiamo rimettere in tasca i soldi a questi italiani che con l’aumento dell’inflazione vedono eroso il loro potere d’acquisto, uno stimolo forte agli investimenti per agganciare le transizioni e le riforme di cui si parla da 40 anni”.

Poi il monito: con l’aumento dei tassi vi è il rischio che per combattere l’inflazione si entri in recessione. “Spaventa – ha detto Bonomi -l’accanimento dell’utilizzo del solo strumento dell’aumento dei tassi per combattere l’inflazione”. “Il rischio è dato dal volume degli investimenti privati che sono crollati”, ha spiegato Bonomi. “Nel primo trimestre 2021 gli investimenti erano cresciuti del 3,5%, nel primo trimestre di quest’anno dello 0,8%”, ha aggiunto.

“Non credo che l’Italia andrà sotto un attacco dei mercati ma l’andamento dei tassi è da monitorare, lo spread va tenuto sotto controllo, dipenderà dalle politiche che metteremo in campo”, ha aggiunto Bonomi. “Non ci sono i segnali di un attacco all’Italia: non è nell’interesse dell’Europa, non è nell’interesse di nessuno. Ma noi dobbiamo fare i compiti a casa”, ha concluso.

La proposta del numero 1 di Confindustria è fare un commissario agli investimenti per favorire lo sviluppo del Paese. “L’Italia – ha detto – è un paese meraviglioso ma investire in Italia non è semplice, è molto complesso” e “credo si possa pensare ad avere un commissario agli investimenti”, “qualcuno che possa dire se fai la fabbrica in due mesi ti faccio avere tutti i permessi e non dipendere da 100 enti”.

Quanto all’Europa, “ha smesso di essere cooperativa e questo mi spaventa”, ha dichiarato Bonomi. “Si è scelta la via nazionalista. Si è deciso di prendere le risorse per accompagnare le transizioni dalla disponibilità fiscale dei singoli Stati. La Germania, che ha disponibilità di bilancio molto più ampie di noi, ha varato un piano di 450 miliardi; l’Italia purtroppo, afflitta da un maxi debito pubblico generato in decenni, non ha questo spazio fiscale”.

AGI – Entro il 2030 l’Unione europea potrebbe diventare dipendente dalla Cina per le batterie agli ioni di litio e le celle a combustibile tanto quanto lo era dalla Russia per l’energia prima della guerra in Ucraina, a meno che non si adottino misure consistenti. Questo è quanto emerge da un paper riportato dalla “Reuters” e preparato per i leader europei.

Il documento dovrebbe costituire la base delle discussioni sulla sicurezza economica dell’Europa durante l’incontro dei leader dell’Ue che si terrà a Granada, in Spagna, il 5 ottobre.

Preoccupati per la crescente assertività globale e il peso economico della Cina, i leader discuteranno le proposte della Commissione europea per ridurre il rischio che l’Europa diventi troppo dipendente dalla Cina e la necessità di diversificare le catene di fornitura verso Africa e America Latina.

Il documento afferma che, a causa della natura intermittente delle fonti energetiche rinnovabili come il solare o l’eolico, l’Europa avrà bisogno di modi per immagazzinare energia per raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette di anidride carbonica entro il 2050.

“Ciò farà salire alle stelle la nostra domanda di batterie agli ioni di litio, celle a combustibile ed elettrolizzatori, che si prevede si moltiplicherà tra 10 e 30 volte nei prossimi anni”, si legge nel documento preparato dalla presidenza spagnola dell’Ue.

Sebbene l’Ue abbia una posizione forte nelle fasi intermedie e di assemblaggio della produzione di elettrolizzatori, con una quota di mercato globale superiore al 50 per cento, fa molto affidamento sulla Cina per le celle a combustibile e le batterie agli ioni di litio cruciali per i veicoli elettrici.

“Senza l’attuazione di misure forti, entro il 2030 l’ecosistema energetico europeo potrebbe avere una dipendenza dalla Cina di natura diversa, ma con una gravità simile, rispetto a quella che aveva dalla Russia prima dell’invasione dell’Ucraina”, si legge.

Le batterie agli ioni di litio e le celle a combustibile non rappresentano l’unica area di vulnerabilità dell’Ue, afferma il documento della presidenza spagnola.

“Uno scenario simile potrebbe verificarsi nello spazio della tecnologia digitale”, afferma il documento. “Le previsioni suggeriscono che la domanda di dispositivi digitali come sensori, droni, server di dati, apparecchiature di archiviazione e reti di trasmissione dati aumenterà notevolmente in questo decennio”.

“L’Ue ha una posizione relativamente forte in quest’ultimo, ma mostra notevoli debolezze negli altri settori”, si legge.

Entro il 2030, questa dipendenza dall’estero potrebbe ostacolare seriamente gli incrementi di produttività di cui l’industria e il settore dei servizi europei hanno urgentemente bisogno e potrebbe impedire la modernizzazione dei sistemi agricoli essenziali per affrontare il cambiamento climatico. 

AGI – Michele Bullock è la prima donna a capo della Reserve Bank of Australia. Bullock, che succede a Philip Lowe, erediterà un’economia con un’inflazione in calo, un’occupazione forte e una crescita ancora sostenuta in un momento in cui monta la protesta dell’opinione pubblica per il forte aumento dei tassi di interesse.

Vice governatore dall’aprile 2022, ha ricoperto diverse posizioni dirigenziali all’interno della Banca. Si fa così ancora più nutrita la schiera di donne al timone delle banche centrali dopo la storica nomina di Christine Lagarde alla guida della Bce: a giugno la Turchia ha incaricato Hafize Gaye Erkan, ex dirigente bancario negli Stati Uniti. Anche in questo caso si tratta della prima donna al timone della banca centrale nazionale.

Reserve Bank Governor Michele Bullock started in the top job today, taking over from Philip Lowe.https://t.co/uAjeWDUr6L

— Sky News Australia (@SkyNewsAust)
September 18, 2023

Il ruolo di governatore della Reserve Bank comporta diverse responsabilità, tra cui la presidenza del Reserve Bank Board, del Payments System Board e del Council of Financial Regulators. In qualità di governatore, Bullock sarà anche responsabile della gestione della Banca ai sensi del Reserve Bank Act 1959.

“Sono profondamente onorata di essere stata nominata a questa importante posizione. È un momento impegnativo per ricoprire questo ruolo, ma sarò supportata da un team esecutivo e da un consiglio di amministrazione forti. Mi impegno a garantire che la Reserve Bank raggiunga i suoi obiettivi politici e operativi a beneficio del popolo australiano”, ha dichiarato Bullock.

We welcome Michele Bullock in her new role as Governor.

Watch the full video about our Role and Functions on our website – https://t.co/0jR5RDvZLA pic.twitter.com/pqKWt3lgXx

— Reserve Bank of Australia (@RBAInfo)
September 18, 2023

Tassi e scenari

La Reserve Bank of Australia è rimasta in attesa per tre mesi dopo aver aumentato i tassi di interesse in modo aggressivo per piu’ di un anno. I mercati, secondo Reuters, scommettono che Bullock li manterrà fermi nella sua prima riunione da governatore il mese prossimo, e alcuni economisti sostengono che il suo eventuale primo cambiamento di politica potrebbe essere un taglio dei tassi. Ma la Bullock ha detto che i tassi potrebbero dover aumentare ancora.

La Rba ha alzato i tassi di 400 punti base nei 13 mesi fino a giugno, portandoli al 4,1%, il massimo da 11 anni a questa parte, e l’inflazione dei prezzi al consumo è rallentata al 4,9% a luglio dall’8,4% di dicembre. La banca prevede di tornare alla fascia obiettivo del 2%-3% alla fine del 2025. La stretta ha rallentato la crescita dell’Australia, ma gli analisti ritengono che l’economia possa ancora raggiungere un atterraggio morbido.

Lowe è stato sottoposto a uno scrutinio mediatico e a critiche pubbliche senza precedenti per aver affermato, durante la pandemia di Covid, che i tassi non sarebbero aumentati prima del 2024, per poi invertire la rotta nel maggio 2022 in seguito all’impennata dell’inflazione.

AGI – Prezzi delle abitazioni in rialzo nel secondo trimestre anche se si conferma la fase di rallentamento della dinamica tendenziale. Secondo l’Istat, l’indice dei prezzi delle abitazioni acquistate dalle famiglie, per fini abitativi o per investimento, aumenta del 2% rispetto al trimestre precedente e dello 0,7% nei confronti dello stesso periodo del 2022 (era +1% nel primo trimestre 2023).

Prosegue, nel secondo trimestre, la fase di rallentamento della dinamica tendenziale dei prezzi delle abitazioni, scesa allo 0,7%, dal +5,2% del secondo trimestre del 2022. La nuova decelerazione risente essenzialmente del rallentamento dei prezzi delle abitazioni nuove, il cui tasso di crescita si attesta allo 0,5%, su base annua, in forte rallentamento rispetto al trimestre precedente (era +5,3%), mentre quelli delle abitazioni esistenti, salgono dello 0,8% (in lieve accelerazione dal +0,3% del primo trimestre).

A livello territoriale, l’evoluzione su base annua dei prezzi delle abitazioni risulta in controtendenza, con i prezzi in crescita al Nord (dove spicca la vivacità di Milano) e in flessione al Centro e nel Sud e Isole.

A Milano si registra un aumento, su base annua, del 7,1%, in accelerazione rispetto al trimestre precedente (era +5,8%). Segue Torino dove si evidenzia un rialzo tendenziale del 4,1% (era +0,7% nel trimestre precedente) mentre Roma fa segnare la crescita più contenuta, pari allo 0,6%, in decelerazione dal +1,9% del trimestre precedente. 
   

AGI – Le tre maggiori case automobilistiche statunitensi hanno ripreso i colloqui con il sindacato Uaw per porre fine allo sciopero che da venerdì ha paralizzato diversi siti. La trattativa per il rinnovo del contratto collettivo, durata diversi mesi, è al palo e il contratto ora è scaduto.

“Oggi abbiamo avuto discussioni ragionevolmente produttive con la Ford”, ha dichiarato l’Uaw (United Auto Workers) all’Afp. Da venerdì sono stati chiusi tre siti: uno stabilimento General Motors a Wentzville (Missouri), un altro stabilimento Stellantis a Toledo (Ohio) e una filiale Ford a Wayne (Michigan). Si tratta di 12.700 dei 146.000 iscritti all’Uaw presso i tre produttori, noti anche come “Big Three”, che non hanno mai affrontato uno sciopero simultaneo.

I repubblicani imputano la controversia industriale al presidente degli Stati Uniti Joe Biden, alla sua presunta responsabilità per l’impennata dell’inflazione e al suo desiderio di accelerare la transizione energetica dell’industria automobilistica.

Ad aprile, il suo governo ha proposto nuovi e più severi standard di emissione di CO2, che potrebbero portare la percentuale di veicoli elettrici tra le auto non commerciali negli Stati Uniti al 67% entro il 2032. La posta in gioco è alta per Joe Biden, candidato a un secondo mandato, che venerdì ha inviato un messaggio di sostegno ai membri dell’Uaw e ha invitato i produttori ad “andare oltre” nelle loro proposte.

Nella sua lista iniziale di richieste, l’Uaw ha chiesto un aumento salariale del 40%, che corrisponde all’aumento medio degli stipendi dei dirigenti delle tre aziende negli ultimi quattro anni.

Secondo quanto riportano i media statunitensi, Stellantis, la casa madre di Chrysler, Dodge, Jeep e Ram, ha dichiarato che la sua offerta più recente prevedeva un aumento immediato del 10% e ulteriori aumenti che avrebbero aumentato i salari in totale del 21% nel corso della durata del nuovo contratto, che di solito è di quattro anni.

L’azienda ha inoltre dichiarato di aver offerto la possibilità di adeguare i salari in base all’inflazione. In base alla sua proposta, i nuovi assunti raggiungerebbero il massimo salario – attualmente 32 dollari l’ora – in quattro anni anziché in otto. Secondo l’Uaw, la General Motors ha aumentato la sua offerta giovedì, portando l’aumento salariale proposto dal 18 al 20%.

Ma i lavoratori a ore sostengono che i giganti dell’auto devono produrre pacchetti significativamente migliori per compensare quelli che definiscono magri salari e tagli ai benefit dopo la crisi finanziaria del 2008, quando sia GM che Chrysler hanno subito riorganizzazioni fallimentari. 

AGI – Il caro vita fa frenare i consumi. L’erosione del potere d’acquisto e dei risparmi inizia a incidere sulla spesa delle famiglie che, se non ci saranno inversioni di tendenza, dovrebbe diminuire nel secondo semestre di -3,7 miliardi rispetto ai primi sei mesi dell’anno. È quanto emerge dalle previsioni elaborate dal Centro Europa Ricerche per Confesercenti.

A causa della frenata del secondo semestre, a fine anno la crescita complessiva della spesa delle famiglie nel 2023 dovrebbe attestarsi sul +0,8%, contro il +4,6% dello scorso anno. A penalizzare le scelte di consumo, afferma una nota, è una combinazione di fattori. In primo luogo, il lungo periodo di alta inflazione, che ha ridotto la capacità di spesa degli italiani: il rientro è in atto, ma è meno veloce di quanto atteso, con un aumento tendenziale dei prezzi che ad agosto si è confermato ancora sopra la soglia del 5% (+5,4%).

All’erosione del potere d’acquisto si aggiunge quella dei risparmi, utilizzati dalle famiglie nella prima fase dell’aumento dei prezzi per mantenere i livelli di consumo precedenti: un margine di manovra che, dopo quasi due anni di corsa dei prezzi, si è ormai fortemente ridotto.

A frenare i consumi anche l’aumento dei tassi di interesse portato avanti dalla Bce, ormai giunta al decimo rialzo consecutivo: una decisione presa per contrastare l’inflazione, ma che influenza negativamente la capacità di spesa delle famiglie – in particolare di quelle con un mutuo a tasso variabile – impattando sulla crescita complessiva dell’economia.

Secondo Confesercenti la quota complessiva dei consumi sul Pil dovrebbe attestarsi al 59,3%, dal 59,8% dello scorso anno, ma al netto dell’inflazione darebbe un contributo reale del 58,4%, il più basso dall’inizio del secolo (nel 2000 era il 59,9%).

Nel complesso, questi andamenti abbasserebbero la crescita del PiL del secondo semestre al +0,1%, dall’+1,2% del primo semestre. Su base annua la crescita 2023 si arresterebbe quindi allo 0,7%, contro l’1% fissato come obiettivo nel Def.

Per riportare la crescita in linea con gli obiettivi, sostiene Confesercenti – occorrerebbe una maggiore crescita dei consumi di 4 miliardi nel secondo semestre, con contributo alla crescita del Pil che salirebbe da 0,6 a 0,9 punti. Considerando che la propensione al consumo è oggi pari al 93%, questo aumento di spesa potrebbe essere ottenuto detassando per 4,3 miliardi le tredicesime.

Un minor introito che pero’ verrebbe parzialmente recuperato: la maggiore crescita e la maggiore spesa per consumi generate dalla detassazione delle tredicesime porterebbero ad un aumento di gettito di 1,3 miliardi, riducendo il costo del provvedimento per il bilancio pubblico a 3 miliardi. 

AGI – Se le banche italiane applicassero gli stessi interessi sui depositi in conto corrente del 2008, anno in cui il tasso di riferimento della Bce era lo stesso di oggi, le famiglie e le imprese disporrebbero di 14,6 miliardi di euro netti in più. A beneficiarne sarebbe anche il fisco che dal prelievo sui risparmi vedrebbe aumentare il gettito di 5,1 miliardi. Nel complesso, pertanto, correntisti ed erario disporrebbero di 19,7 miliardi aggiuntivi.

Lo rende noto l‘Ufficio studi della Cgia. Il tasso principale di rifinanziamento della Bce – ricorda la Cgia – 15 anni fa era al 4,25% e i tassi di interesse applicati dalle banche sui depositi degli italiani erano all’1,87%.

Oggi, a parità del costo del denaro stabilito da Francoforte, sono invece allo 0,38%. Se ai 1.320 miliardi di euro di risparmi attualmente depositati negli istituti di credito italiani fosse applicato l’1,87% famiglie e imprese si ritroverebbero con 14,6 miliardi netti in più e il fisco incasserebbe 5,1 miliardi di euro di gettito in più.

Sommando i due importi, risparmiatori e fisco si ritroverebbero con 19,7 miliardi aggiuntivi: praticamente quasi un punto di Pil. A mantenere i tassi attivi sui depositi a livelli bassi, nota la Cgia non sono stati solo gli istituti di credito italiani ma anche quelli europei. Gli ultimi dati disponibili (luglio 2023) dicono che la media degli interessi applicati sui conti correnti delle famiglie dell’Area dell’Euro era pari allo 0,27% (-105 punti base rispetto al 2008), mentre in Italia si è attestata allo 0,28% (-118). In Francia la media degli interessi applicati è stata dello 0,05% (-13), nei Paesi Bassi dello 0,10% (-70), in Spagna dello 0,12% (-68) e in Germania dello 0,41% (-164 punti base rispetto al 2008).

Dal confronto tra il 2008 e il 2023 emerge comunque gli interessi applicati ai mutui per l’acquisto di una abitazione, sono ora più convenienti. Con uguale tasso di riferimento del 4,25%, il tasso di interesse medio inclusi i costi (Taeg) applicato oggi in Italia a un mutuo è al 4,58%, contro il 5,95% di 15 anni fa.

La Cia prende anche posizione sulla tassazione degli extraprofitti: “L’introduzione di una imposta straordinaria una tantum è, a nostro avviso, auspicabile. Speriamo che il Parlamento la migliori in sede di conversione in legge evitando di penalizzare i piccoli istituti di credito che, anche in questo momento critico, non hanno mancato di dare il loro sostegno alle famiglie e alle piccole imprese. Altresì, come previsto dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi (Tuir, rendendo il prelievo straordinario deducibile dal reddito di impresa”. 

AGI – Il salario minimo non basta, serve un salario giusto. E sono necessarie regole chiare e prevenzione per la tutela della sicurezza sul lavoro e più Europa per evitare i rischi sociali che deriverebbero da transizioni accelerate e per affrontare la sfida del clima.

Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, ha aperto i lavori dell’ultima assemblea annuale del suo mandato iniziato nel 2020, in piena crisi Covid, con la premesse di non esprimere “osservazioni sullo stato dell’economia, sul Pnrr, o sulla manovra di bilancio che si avvicina”, temi poi affrontati in conferenza stampa al termine della mattinata.

Oltre duemila gli invitati all’auditorium Parco della Musica a Roma, tra imprenditori e rappresentanti delle istituzioni. A partire dal capo dello Stato, Sergio Mattarella, accolto da una standing ovation, che per la prima volta ha preso la parola a un’assemblea degli industriali, e a cui Bonomi ha rivolto il suo grande apprezzamento: “E’ per noi tutti un onore averLa qui. Noi siamo tra coloro che credono che, in un ordinamento come il nostro, che correttamente ambisce a una maggiore stabilità di governo, il Capo dello Stato debba continuare a essere il garante della Costituzione”.

Bonomi ha chiesto alla politica unità, e di abbandonare la logica “divisiva”, soprattutto nel percorso di riforma costituzionale, riprendendo le parole di Meuccio Ruini, presidente della Commissione dei 75 che aveva redatto il progetto di Costituzione: non bisogna ripetere gli errori del passato quando “veti e bandierine avevano avuto la meglio sulla scelta di una efficace democrazia governante”.

Come imprenditori, ha rimarcato, “auspichiamo profondamente riforme che leghino governabilità e capacità di dare voce e rappresentanza alle tante istanze che la società civile è capace di esprimere” e “alle forze politiche dico dunque: guardatevi dal compiere lo stesso errore di sempre.

Evitate di progettare interventi sulla forma di Stato e sulla forma di governo maturati e ispirati da una dialettica divisiva, aliena per definizione dalla serietà con cui proporre e giudicare impianti istituzionali così rilevanti per la democrazia e la libertà del nostro Paese”. 

Il salario minimo non risolve la questione del lavoro povero 

Soffermandosi sul tema del salario minimo, Bonomi ha spiegato che Confindustria “resta convinta che la mera introduzione di un salario minimo legale, non accompagnata da un insieme di misure volte a valorizzare la rappresentanza, non risolverebbe nè la grande questione del lavoro povero, nè la piaga del dumping contrattuale, nè darebbe maggior forza alla contrattazione collettiva”. Il numero uno degli industriali ha ribadito il ruolo della contrattazione collettiva.

“La discussione di questi mesi sulla opportunità o meno di introdurre per legge un salario minimo, sembra trascurare che la nostra Costituzione ci obbliga a riconoscere al lavoratore un salario giusto. Questa funzione, nello spirito della nostra Costituzione, è affidata – per quanto concerne il lavoro subordinato – alla contrattazione collettiva “.

Sicurezza del lavoro, servono regole chiare 

Parlando della sicurezza del lavoro, tema tornato recentemente sotto i riflettori, ha detto che “la tutela presuppone regole chiare e semplici e si fonda sulla prevenzione”. “La nostra visione, l’unica che per noi ha senso è che sia necessario evitare gli incidenti valorizzando una logica partecipativa, una logica che unisca nelle azioni e nelle relative responsabilità, non che divida e contrapponga, eredità di vecchi antagonismi di classe”.

“Chi sbaglia deve pagare”, ha osservato ancora nel corso della conferenza stampa sottolineando che “la vera svolta è intervenire ex ante, non ex post”. Il numero uno di Confindustria ha quindi invocato un’inversione di rotta sul lavoro, capace di “promuovere tutte le condizioni affinchè il diritto al lavoro sia effettivo” e di migliorare l’inclusività, soprattutto nei confronti dei giovani e delle donne.

L’inverno demografico 

E “di fronte a una preoccupante prospettiva di inverno demografico”, Bonomi ha invocato “la sostenibilità delle misure pubbliche destinate all’assistenza, alla sanità e alla previdenza”, tema che “deve diventare un assillo per tutti”.

Il presidente degli industriali ha poi lanciato un monito: “Se non vogliamo che le transizioni accelerate minaccino il mercato unico – ha osservato – se non vogliamo trovarci con migliaia e migliaia di lavoratori disoccupati nelle piazze, se non vogliamo regalare ulteriori ragioni a chi lavora per alimentare la sfiducia e la destabilizzazione, la demagogia e il populismo, allora delle due l’una: o dopo le prossime elezioni europee si aprirà uno scenario per cui l’Unione Europea sarà in grado di riprendere il cammino di maggior integrazione realizzato nel Covid e poi interrotto; oppure, in nome della ragionevolezza, bisognerà correggere al ribasso l’accelerazione degli obiettivi e degli investimenti necessari a realizzarli in così pochi anni e con tale disparità di risorse”.

Quindi, ha messo in guardia: “Senza fondi sovrani comuni europei, nei prossimi anni si spezzerà il mercato unico” e questo rappresenta “una minaccia serissima per l’Italia “. 

La sfida climatica 

Parlando della sfida climatica, Bonomi ha chiarito: “Noi continueremo a batterci crescano le risorse e i progetti gestiti dall’Europa in senso cooperativo. Ma se così non sarà, e se prevarrà il ritorno alle vie nazionali per affrontare sfide così immani, sarà bene ricordare che le nostre critiche non nascono certo da negazionismo della sfida climatica o da indifferenza ai suoi effetti. La sostenibilità ambientale è ineludibile. Ma non può prescindere dalla sostenibilità economica e da quella sociale. L’Europa deve agire compatta”.

Rendere strutturale il cuneo fiscale 

Al termine dell’assemblea, in conferenza stampa, il numero uno di Confindustria ha rinnovato l’auspicio che il governo renda strutturale il taglio del cuneo in manovra indicando le priorità da affrontare: il taglio delle tasse, gli investimenti e le riforme.

“Penso che la strada per mettere più soldi nelle tasche degli italiani sia il taglio delle tasse e credo che qualche riflessione da questo punto di vista vada fatta. Il governo ha fatto un taglio in corso d’anno e auspichiamo che lo renda strutturale in questa legge di bilancio”, ha spiegato Bonomi sottolineando che le risorse “si possono trovare, c’è una spesa pubblica di 1.100 miliardi di euro, riconfigurare il 4-5% credo si possa fare”.

Extraprofitti

E le imprese, ha assicurato, sono disposte a rinunciare ai 14 miliardi di tax expenditure “se le risorse vanno totalmente al taglio del cuneo”. Riguardo alla tassa sugli extraprofitti delle banche e delle misure contro il caro voli, il presidente di Confindustria ha evidenziato che non si può “intervenire di imperio” ma che si possono trovare delle soluzioni.

E infine, tracciando un bilancio del suo mandato: “Ho ancora 9 mesi. Non ho sassolini nella scarpa da togliermi. È stato un periodo difficile, complesso, non sta a me dire se lavorato bene o no ma abbiamo perso un pò di competitività. Nel Patto per l’Italia, c’erano tanti temi che potevamo affrontare insieme, gli incidenti sul lavoro e i contratti che non sono stati fatti, mi dispiace perchè è stata un’occasione persa per il Paese”.

 

 

 

 

 

AGI – Ryanair chiede le dimissioni del presidente Enac Pierluigi Di Palma sostenendo che i dati presentati al governo sulle modalità di costruzione delle tariffe dei voli siano falsi. Non si placa dunque la contesa tra il vettore low cost e l’Italia dopo il provvedimento del governo che a inizio agosto ha introdotto un price cap sui biglietti aerei, chiedendo di non utilizzare l’algoritmo via web per determinazione dell0’importo.

Nel frattempo il Mimit, che giovedì ha riunito il tavolo permanente sul caro prezzi, chiede maggiore trasparenza sulla formazione delle tariffe, auspicando maggiori poteri di regolamentazione del mercato in favore delle Authority.

Ryanair chiede al presidente dell’Enac “di assumersi la responsabilità (per il falso rapporto prodotto e presentato al governo sul prezzo dei biglietti aerei) e di dimettersi”. La compagnia ritiene “inaccettabile che il presidente della direzione del trasporto aereo italiano non abbia spiegato con precisione il diritto comunitario al ministro Urso, che garantisce a tutte le compagnie aeree la libertà di prezzo”. Per l’azienda: “Questo falso rapporto dell’Enac dimostra che il suo presidente non è idoneo a supervisionare le attività”.

La replica di Di Palma

“Piu’ volte ho richiamato O’Leary a tenere in profilo più istituzionale. Da amico uno può anche divertirsi ma da presidente dell’autorità del trasporto aereo sentirsi dire da un amministratore delegato un fatto del genere è abbastanza grave”, è la risposta del dirigente, “il mio mandato ogni giorno è a disposizione del governo italiano, sicuramente non mi faccio dire da un ad di una compagnia aerea una cosa così grave. Diciamo che il garbo istituzionale è un po’ carente”. 

Il vettore low cost irlandese – prima compagnia in Italia, nel 2022 ha totalizzato 45,7 milioni di passeggeri, pari a un terzo del totale – contesta dunque l’intervento statale chiedendo un passo indietro in nome della concorrenza e del libero mercato. Nel frattempo dalla scorsa settimana Ryanair ha annunciato la riduzione di circa il 10% dei voli da e per la Sardegna e la Sicilia, due delle aree più interessate dal caro voli.

Il tavolo tecnico

Urso al termine del tavolo tecnico si dice soddisfatto: “È stato un incontro costruttivo, servirà anche eventualmente a migliorare il contenuto del decreto nel percorso parlamentare. Si tratta di conferire alle authority dei poteri maggiori per garantire ai consumatori e ai vettori la massima trasparenza sulla formazione dei prezzi e sulle risorse che ciascun aeroporto intende investire per la sua connettività”.

Interpellato in merito alle nuove polemiche sollevate da Ryanair, il ministro replica: “La cosa importante è che tutte le autorità competenti abbiano giudicato positivamente l’iniziativa del governo, è una rarità, questo ci dice che siamo sulla strada giusta per realizzare un mercato libero”.

Particolare attenzione durante la riunione è stata posta alla necessità di maggior trasparenza rispetto alla composizione del costo dei biglietti aerei e dei meccanismi che portano alla formazione del prezzo, oltre alle risorse che ciascun aeroporto investe per favorire la propria connettività.

Al tavolo erano rappresentati di Ita Airways, Ryanair, Malta Air, Aeroitalia, Easyjet, Wizz Air, Neos, Sky Alps e Volotea, delle organizzazioni delle compagnie aeree Iata, Aicalf e Ibar, delle associazioni che rappresentano i gestori degli aeroporti Assaeroporti e Aeroporti 2030, di Assoclearance e Assohandlers.

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