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AGI – Dal 21 al 24 marzo l’Auditorium della Mole Vanvitelliana di Ancona ospiterà la prima edizione nazionale del festival Popsophia, manifestazione interamente dedicata ad esplorare il quanto mai attuale tema della spettacolarità del male.
Per scoprire quale sia lo spirito di questo evento ed in che modo si prefigga di coniugare intrattenimento e divulgazione sviscerando cause e origini della nostra fascinazione per le immagini di violenza, crudeltà e catastrofi proposte da cinema, tv e nuovi media, l’AGI ha incontrato l’ideatrice e curatrice di Popsophia,  la filosofa, scrittrice, opinionista tv e docente di Storia dello Spettacolo Lucrezia Ercoli.

 

Qual è l’idea portante di Popsophia?

 

Il tentativo è quello di coniugare il pop – nel duplice senso di pop culture e cultura di massa, intesa come l’insieme dei fenomeni del vivere quotidiano – e la filosofia quale capacita del pensiero critico di riflettere sul presente. Nato nel 2011, e per tredici edizioni itinerante in varie città delle Marche, Popsophia approda ad Ancona sull’onda dell’intento, condiviso con il Comune cittadino e la Regione Marche, di stabilizzare la sfida culturale che portiamo avanti sul piano nazionale. Anche attraverso l’idea di aprire un laboratorio permanente sui temi della manifestazione.

 

In che modo il programma del festival declinerà questa sfida?

 

Di giorno attraverso gli incontri con giornalisti, scrittori, docenti e filosofi inseriti nelle tre rassegne Philofiction, Cinesophia e Mediascape che dedicheremo all’immaginario cinematografico, della serialità televisiva e dell’universo digitale. La sera con la specificità del nostro progetto: i format di spettacolo filosofico Philoshow. Proveremo a dar vita a rappresentazioni in cui musica dal vivo, montaggi audiovisivi e parole, mie e degli ospiti, esploreranno temi diversi. Con Marcello Veneziani si parlerà di nichilismo e canzonette, con il divulgatore scientifico Michele Bellone di immaginario distopico, con Carlo Massarini di  rock e male. Proporremo inoltre dei laboratori filosofici per adulti e bambini, in cui il filosofo si porrà come mediatore, più che conferenziere, lasciando alla platea il ruolo di protagonista. Infine, abbiamo in programma la Mostra d’arte Pentagon, che nella nostra galleria virtuale e modulare MeGa, fruibile con visori, racconterà l’idea insita nella location, il pentagono perfetto della Mole Vanvitelliana, esplorando i rapporti tra geometria e filosofia.

 

Qual è il fine di psicanalizzare il voyeurismo dello spettatore medio?

 

Quello di una presa di consapevolezza. La verità è che oggi non possiamo più esimerci dall’essere spettatori del male, perché ci raggiunge attraverso troppi canali. Gli immaginari della letteratura, del cinema, della serialità tv e della musica possono aiutarci ad acquisire  coscienza di questo nostro costante guardare in modo passivo il dolore degli altri. E’ un passaggio necessario, se non vogliamo chiudere gli occhi su ciò che siamo. E’ tempo di provare a rivolgere lo sguardo verso noi stessi, invece di cercare sempre il mostro altrove.

 

Oggi la filosofia è vissuta come qualcosa di scollegato dal quotidiano, quale potrebbe essere il suo ruolo attivo nel nostro tempo?

 

La filosofia dovrebbe rappresentare la cassetta degli attrezzi con cui affrontare il presente, un grimaldello per aprirci alla riflessione ed alla comprensione di meccanismi che senza il suo contributo ci resterebbero estranei. La disciplina filosofica non nasce in una dimensione accademica, è stato il linguaggio tecnico che ha assunto nel tempo ad aver allontanato la sua capacità di parlarci senza distinzioni. Se torna ad essere cosa viva e concerta, credo possa ancora ricoprire un ruolo cruciale nello spazio pubblico. Il tentativo del festival è mostrare come sia rimasta intatta la sua capacità di leggere la realtà, oltre i manuali.

 

‘Lo spettacolo del male’ è anche il titolo di un suo saggio appena uscito per Ponte alle Grazie, la cui tesi è che il male è insito in ognuno di noi.  

 

Il festival nasce in effetti da un lungo lavoro, partito dalla necessita di guardare in faccia il volto di Medusa: quella crudeltà che è specifica del genere umano non appartenendo ad altre specie animali. Lo scopo è  quello di venire a patti con questo lato oscuro che tentiamo di rimuovere, cercando sempre di trovare un capro espiatorio. Di prendere atto del nostro essere, come diceva Susan Sontag, davanti al dolore degli altri.

 

La nuova tecnologia, ormai estensione del corpo, ci offre attraverso gli Smartphone la terribile possibilità di essere immersi senza soluzione di continuità in uno spettacolo di dolore che ci commuove o indigna. Ma in realtà sono reazioni che alimentano lo spettacolo stesso, emotivamente tese a giustificare il voyeurismo e il perverso godimento che ci provoca. Il bombardamento di immagini del male ci sta facendo dimenticare il ruolo del nostro sguardo, le colpe e responsabilità che gli competono.

 

L’arte deve ferire?

 

Credo di sì. Infatti in esergo al mio libro ho citato Michel de Montaigne: “Io odio crudelmente la crudeltà”. Arte e filosofia non devono lasciarci intatti al loro passaggio. Hanno il fine di alimentare la nostra consapevolezza e scuoterci, anche con un po’ di necessaria violenza.

AGI – Ricevere un regalo inaspettato è sempre bellissimo. Quando poi si tratta di un romanzo inedito scritto da uno dei più grandi autori contemporanei, Gabriel Garcia Marquez, pubblicato a dieci anni dalla morte, è come trovare un tesoro nascosto in giardino di cui ignoravamo l’esistenza. E’ arrivato in libreria lo scorso 6 marzo, giorno in cui avrebbe compiuto 97 anni, ‘Ci vediamo in agosto’ (Mondadori, a cura di Cristòbal Pera, traduzione di Bruno Arpaia – pagg.120, euro 17,50), un racconto scritto nel 1999 e più volte cambiato e riscritto che è rimasto inedito fino ad oggi perchè lo stesso Marquez non era convinto del suo valore e del finale al punto di dire: “Questo libro non funziona. Bisogna distruggerlo”. Ora i figli Rodrigo e Gonzalo Garcia Barcha hanno deciso di pubblicarlo, dopo aver affidato a Cristobal Pera (editor dell’ultimo grande romanzo-momoir di Marquez, ‘Vivere per raccontarla’ del 2002, oltre che dell’ultimo romanzo propriamente detto, ‘Memoria delle mie puttane tristi’, del 2004) il compito di curarne l’edizione, raccogliendo le varie versioni del testo e le correzioni apportate da Marquez negli anni. Dal 18 marzo 1999, giorno in cui un giornalista di ‘El Pais’ pubblicò un’intervista a Marquez e un brano del libro ‘Ci vediamo in agosto’ (che lo scrittore colombiano aveva letto qualche giorno prima nella Casa de America a Madrid dove, invece di tenere un discorso alla presenza del collega Premio Nobel Josè Saramago, aveva letto un brano del suo nuovo romanzo) al 2004 quando finì di riscrivere la versione numero 5, Marquez si occupò di questo romanzo come si fa con un figlio difficile. 

 

In quell’anno, il 40ennale di ‘Cent’anni di solitudine’, mise da parte il libro – di cui la rivista colombiana ‘Cambio’ aveva pubblicato nel 2003 il terzo capitolo col titolo ‘La notte dell’eclissi’ – perchè, rivelò alla sua agente, “a volte bisogna lasciar riposare i libri”. Purtroppo in vita Marquez non fu mai soddisfatto del risultato e decise di non pubblicare il romanzo di cui non riteneva valido il finale e non riuscì a finirlo a causa della perdita di memoria che iniziò a colpirlo dal 2010. Eppure questo libro risente moltissimo dell’afflato e dell’arte dello scrittore colombiano e, come sospettano i figli che hanno deciso di “tradire” la volontà del padre, probabilmente i dubbi erano dovuti più alla sua salute ormai malandata (è stato colpito dal morbo di Alzheimer) che dall’effettivo valore artistico dell’opera. “Giudicando il libro migliore di quanto lo ricordassimo, ci è venuta in mente un’altra possibilità: che la mancanza della facoltà che non aveva permesso a Gabo di terminare il libro gli avesse anche impedito di rendersi conto di quanto fosse buono, malgrado le sue imperfezioni”, scrivono i figli di Garcia Marquez nella perfezione.

 

In ‘Ci vediamo in agosto’ Garcia Marquez affronta l’amore tra persone mature, il desiderio e la passione unite al brivido della trasgressione che irrompono prepotenti quasi per caso nella vita di una donna di quasi 50 anni, Ana Magdalena Bach, che ogni 16 agosto porta sulla tomba della madre sepolta su un’isola dei Caraibi un mazzo di gladioli. Un viaggio che Ana intraprende annualmente in maniera quasi automatica e ripetitiva e che diventa improvvisamente qualcos’altro: un’occasione di trasgressione sessuale, come una parentesi da ritagliarsi in una vita condotta in maniera normale e tutto sommato soddisfacente durante gli altri 364 giorni dell’anno. La donna, scrive infatti Marquez, “da ventisette anni era unita in un affiatato matrimonio con un uomo che amava e che l’amava, e con il quale si era sposata senza finire la facoltà di Arti e Lettere, ancora vergine e senza fidanzamenti precedenti”. 

 

Un vita apparentemente felice allietata anche da due figli: un musicista e una ragazza convinta di farsi suora (che comunque non disdegna di passare le notti con un amico/amante jazzista). Apparentemente non ne avrebbe bisogno, eppure nella vita di questa signora all’improvviso irrompe il desiderio di trasgressione. Un attimo di libertà assoluta da vivere un giorno l’anno. Un evento accaduto quasi per sbaglio in uno dei suoi 16 agosto sull’isola, quando ha 46 anni, a causa di un bicchiere di troppo, che diventa una necessità e alimenta la sua vita e le sue ansie di donna matura. Un appuntamento che si rinnova ogni anno per un periodo tutto sommato breve e che si conclude, come dice il curatore Cristobal Pera, “in maniera smagliate” malgrado i dubbi di Garcia Marquez.

 

 

Al termine del libro ci sono quattro pagine riprodotte in facsimile con le correzioni dell’autore della cartellina contrassegnata come ‘Versione 5’ aulla quale alla fine Marquez scrisse le parole “Grande OK finale” (Gran OK final) che la famiglia dello scrittore ha venduto all’Harry Ransom Center dell’Università del Texas. Proprio il fatto che questi documenti fossero disponibili al pubblico ha spinto i figli a “tradire” Gabo, un modo per proteggere il suo lavoro ed evitare che il suo ultimo romanzo inedito vedesse la luce in copie piratate che non tenessero conto delle variazioni e delle correzioni che lo scrittore ha continuato ad apportare anche dopo che la malattia si era manifestata, fin quando gli è stato possibile sedersi di fronte al computer o dettare appunti alla sua assistente. ‘Ci vediamo in agosto’, scrivono ancora i figli di Marquez nella prefazione, è “il frutto del suo ultimo sforzo di continuare a creare contro ogni circostanza avversa. Il processo di scrittura è stato una gara tra il perfezionismo dell’artista e il venir meno delle sue facoltà mentali”. Un libro che i figli dello scrittore reputano di buon livello e che, concludono, “con un atto di tradimento abbiamo deciso di anteporre il piacere dei suoi lettori a tutte le altre considerazioni. Se loro lo apprezzeranno – concludono – e’ possibile che Gabo ci perdoni. Noi ci contiamo”. E i lettori apprezzano di sicuro. 

 

AGI – Per la prima volta sarà un liceo a ospitare un’esposizione archeologica. Si tratta del prestigioso Torquato Tasso di Roma, protagonista di un progetto che rappresenta un unicum nel suo genere: l’allestimento di una mostra dal titolo “Il ritmo della vita degli uomini” che porterà nei locali della scuola 50 reperti archeologici. La mostra sarà inaugurata  il 16 marzo. Si tratta di pezzi per la maggior parte inediti, provenienti soprattutto da tombe scavate clandestinamente, che i carabinieri del Comando tutela patrimonio culturale hanno recuperato da musei, collezioni private e università statunitensi. L’idea è nata dalla proposta del professor Massimo Osanna, direttore generale Musei del Ministero della Cultura, in occasione di una giornata di dialogo dedicata a Pompei e ai musei italiani organizzata proprio dal Tasso. E la sua realizzazione è stata possibile “grazie alla collaborazione e alla sinergia di tutte le componenti della comunità scolastica”, ha sottolineato il dirigente scolastico Paolo Pedullà nel corso della presentazione nella sede del liceo, in via Sicilia a Roma. 

 

 

“Oggetti di questo tipo devono popolare le città, le istituzioni, le scuole. Dobbiamo portare l’arte anche fuori dai musei – ha aggiunto il professor Osanna – nei musei ce l’abbiamo, la curiamo e questo è un aspetto strutturale del nostro impegno. Ma l’arte, e dunque gli oggetti con le loro biografie, devono raggiungere tutti i luoghi della cultura, a cominciare proprio dai licei”. Il progetto è stato realizzato assieme alla Direzione generale dei Musei e ai carabinieri del Comando tutela del patrimonio culturale, in collaborazione con AGI e con il patrocinio di Regione Lazio e Roma Capitale.

 

“È la prima volta che un liceo accoglie un’esposizione di reperti antichi e ne fa propria la descrizione, la contestualizzazione “letteraria” e la divulgazione dei contenuti oggetto di approfondimento”, è emerso nel corso della conferenza stampa del progetto realizzato grazie al contributo di Ferrovie dello Stato, Poste Italiane e Compsys. “Si tratta di una nuova idea didattica in cui gli studenti sono protagonisti, ‘creano’ nuove competenze con un approccio innovativo e laboratoriale, dialogano con i funzionari della Direzione generale Musei ed esprimono appieno le capacita’ individuali”. Il percorso compiuto, viene sottolineato, “ha consentito a ognuno di mettersi in gioco e guardare al proprio domani”.

 

 

Le docenti del Tasso, che assieme agli studenti si sono spese affinché l’idea della mostra potesse diventare realtà, hanno affermato che questo progetto ha aiutato i ragazzi a portare “fuori ciò che di meglio era dentro di loro”, sottolineando il valore “educativo” oltre che “didattico”. “Un’esperienza unica”, “qualcosa che non avrei mai immaginato”, le parole delle studentesse e degli studenti che con entusiasmo e impegno hanno partecipato. Il progetto allestito al Tasso, punta a essere itinerante nelle scuole italiane, per avvicinare la bellezza del passato ai ragazzi del futuro. 

 

 

AGI – È stato tradotto in lingua persiana ‘Una vita nascosta’, il romanzo di Enrica Mormile ambientato nella Napoli degli anni Sessanta ma che si sviluppa avanti e indietro nel tempo tracciando l’intricata storia della famiglia di un quartiere popolare. Edito da Castelvecchi nel 2022, il romanzo di Mormile è stato traslato in persiano da Abolhassan Hatami per la casa editrice Hoonaar e sarà nelle librerie iraniane alla fine di questo mese. Nella traduzione il titolo è stato cambiato in ‘Nascondiglio a Napoli’, per rimarcare l’ambientazione nella città partenopea. Romanzo ricco di personaggi e di passaggi temporali, narra la vicenda di un ragazzo incolpato nel 1962 di un omicidio non commesso, il quale per sfuggire al carcere si nasconde nella soffitta abbandonata di Castel Capuano, lo storico palazzo della Vicaria dove per secoli è stata amministrata la giustizia, un enorme edificio che conserva memorie, dolori e conflitti dell’ex città viceregnale, dell’ex capitale di un regno e della metropoli che conosciamo adesso.

 

Sandro detto Sandor, celato al mondo come un fantasma dell’Opera, riuscirà a tornare nel mondo riscattandosi anche attraverso il suo talento eccezionale per il canto: arte come metafora e sentimento in cui alla fine bisogna credere anche quando tutte le circostanze sembrano con crudeltà smentirci. E Sandor ci ha creduto sin dalla notte in cui “la tristezza gli stringeva dolorosamente il petto” e a lui è venuta “una voglia struggente di cantare” sul terrazzino nascosto da dove guarda la luna quasi piena.
Nata a Tripoli in Libia da madre siciliana e padre napoletano, Enrica Mormile ha vissuto lungamente all’ombra del Vesuvio prima di trasferirsi a Roma. ‘Una vita nascosta’ non è la sua prima prova narrativa. Nel 2019 ha pubblicato il romanzo ‘Il viale dei cancelli’, dopo un passato dedicato alla scultura e alle esperienze teatrali. 

AGI – La grandiosità dei fiori sboccia alla Key Gallery di Milano con la mostra ‘Naturaleza’ di Francesca Romano, dal 14 al 24 marzo 2024. Una trentina di stampe di vario formato, alcune messe in risalto con una parete installativa per cogliere ogni dettaglio della creatività e dell’abilità fotografica di Francesca Romano, mostra la cura minuziosa e l’approccio dell’artista al genere still-life.

 

 

Si focalizza sugli elementi vegetali, fiori e piante visti come puri elementi pittorici, esaltati dalla macchina fotografica nelle loro texture, tanto forti, tanto dettagliate e così tattili che sembrano erompere dalla loro superficie artistica. L’artista vuole sottolineare il valore dei suoi soggetti anche dal punto di vista decorativo, come parte di un progetto pensato per l’abitare e per ogni tipo di arredamento contemporaneo. Una parete della galleria è arricchita con altre immagini disposte a quadreria quasi a suggerire altre soluzioni e ambientazioni e qui tutto si gioca sul rigore del bianco e nero con un impatto visivo per un pubblico completamente diverso.

 

 

La grande fotografia dell’albero alla parete rimanda a uno stage fotografico di Francesca Romano, tenutosi a Palermo con due grandi maestre come Letizia Battaglia e sua figlia Shobha Battaglia. Sotto quell’albero appare un uomo che mangia a dimostrare che la natura è il nostro cibo principale. E risponde alla filosofia ben radicata dell’artista e il suo credo basati sulla convinzione che la fonte ancestrale della nostra vita è proprio nelle origini della terra, nelle nostre radici e la sua fotografia risponde a un’ispirazione e a un’esigenza spirituali, ragioni fondanti del nostro esistere.

 

Per Francesca Romano la fotografia è una compagna di vita, rappresenta il seme della passione, la ricerca del sè ed è il tramite tra lei e il mondo. “Ho iniziato molto giovane con una Yashica analogica che aveva comprato mio padre per fotografare le sue architetture. Ho imparato presto le tecniche di sviluppo e stampa in camera oscura”. Il ritratto è stata la sua prima esperienza artistica, spinta dalla voglia di crescere e misurarsi con una creatività personale, ancora sommessa ma potente. Poi, il fascino e lo splendore della natura hanno conquistato la sua attenzione totale. “Cercavo una materia che rappresentasse una trasformazione. Ho ampliato la scelta dei soggetti, rose, anthurium, orchidee, lilium, calle, tulipani, narcisi, e più ne incontravo più ne portavo a casa. E, a quel punto, il mio tavolo era pieno di queste nature morte, fiori e foglie colti sul punto di cessare di vivere ma ancora vitali”.

 

 

‘Naturaleza’, curata da  Mariateresa Cerretelli, sboccia come un giardino en plein air e riflette un progetto che immagine dopo immagine, innesca molteplici sensazioni, pensieri, riflessioni ed emozioni. L’incanto delle fotografie dell’artista punta dritto agli occhi e al cuore dell’osservatore.

 

 

 

 

AGI – L’Aquila è stata proclamata Capitale italiana della Cultura 2026: l’annuncio è arrivato dal ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, in una cerimonia nella Sala Spadolini del ministero. Il capoluogo abruzzese, devastato da un terremoto nel 2009, era in competizione con altre nove città: Agnone (Isernia), Alba (Cuneo), Gaeta (Latina), L’Aquila, Latina, Lucera (Foggia), Maratea (Potenza), Rimini, Treviso, Unione dei Comuni Valdichiana Senese (Siena).vLa giuria era presieduta da Davide Maria Desario e ne facevano parte Virginia Lozito, Luisa Piacentini, Andrea Prencipe, Andrea Rebaglio, Daniela Tisi e Isabella Valente. 

 

“La designazione di L’Aquila a Capitale italiana della Cultura 2026 è una bellissima notizia, non solo per la città e il suo territorio, ma per tutto l’Appennino centrale”: lo ha sottolineato il Commissario Straordinario al sisma 2016, Guido Castelli. “Si tratta di un risultato che rende merito all’ottimo lavoro del Sindaco Pierluigi Biondi, della sua amministrazione e di una filiera che, a partire dal Presidente della Regione Marco Marsilio, in Abruzzo ha dimostrato di essere efficace e vincente”, ha osservato Castelli.

“Il legame che corre tra L’Aquila e la Struttura commissariale che guido è costante e all’insegna di una fattiva collaborazione che trova la sua applicazione nella Cabina di coordinamento integrata sisma 2009- 2016, che presiedo”, ha sottolineato Castelli. “Il capoluogo abruzzese, dopo il terribile sisma del 2009, ha avuto la tenacia e la capacità di rialzarsi in piedi e la designazione odierna è un ulteriore, prestigioso, segnale di rinascita che questa splendida città merita. Sono certo che questo risultato porterà benefici non solo a L’Aquila, ma a tutto l’Appennino centrale. Questa vasta parte del nostro Paese è rimasta a lungo ai margini dell’agenda nazionale ma oggi, grazie all’attenzione e all’impegno concreto del governo Meloni, la tendenza è stata invertita attraverso l’adozione di una strategia di crescita e sviluppo che mette al primo posto la sicurezza e la sostenibilità”, ha concluso.

 

“L’Aquila capitale della Cultura 2026. Grande orgoglio per l’Abruzzo intero, ci abbiamo creduto fortemente. Le mie più sentite congratulazioni al Sindaco e amico @PierluigiBiondi Evviva!!!!”, scrive su X il governatore Marco Marsilio.

 

E proprio il primo cittadino si assume l’impegno di essere “all’altezza del compito che oggi ci assegnate”. “Grazie per questo onore che rendete non solo alla città dell’Aquila ma a un territorio molto più ampio che va dal cratere sismico fino alle aree appenniniche che nei secoli hanno subito una grande spoliazione, una perdita di centralità”, ha detto Biondi durante la cerimonia al MiC, ricordando che la città “si avvia a celebrare i 15 anni dal terremoto”. “Il riconoscimento non può essere un risarcimento, perché non può esserci un risarcimento, ma rappresenta un elemento intorno a cui ricostruire il tessuto sociale della nostre comunità”, ha osservato Biondi. 

AGI – Dopo l’essersi ritrovati e la conseguente mostra “Felicitazioni! CCCP – Fedeli alla linea 1984-2024” presso i Chiostri di San Pietro di Reggio Emilia, dopo il “Gran Gala Punkettone di parole e immagini” al Teatro Romolo Valli di Reggio Emilia, le tre date sold out all’Astra Kulturhaus di Berlino con il concerto “CCCP in DDDR” e l’uscita dell’album live inedito “Altro Che Nuovo Nuovo”, i CCCP-Fedeli alla linea tornano sulle scene live in Italia con il tour “In Fedeltà la Linea c’è”.

 

A 40 anni dal primo EP, “Ortodossia”, Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni, Annarella Giudici e Danilo Fatur, saliranno sul palco dei principali festival italiani, presentandosi come uno degli eventi più attesi nell’estate 2024.

 

Ben lontani da un’operazione nostalgica, sempre liberi da etichette e confini, i CCCP – Fedeli alla linea tornano a grande richiesta per parlare al mondo di oggi, in una serie di live tra il sacro e il profano dove lo slogan “Produci, consuma, crepa” risuona attuale come non mai.

 

Un successo, il loro, plasmato dalla capacità di rendere iconica ogni azione, lasciando un’impronta indelebile nell’immaginario di più generazioni. Il tour, ideato e curato da Luca Zannotti per Musiche Metropolitane, prenderà il via il 21 maggio 2024 da Bologna in Piazza Maggiore. 

AGI – Malta inaugura 
la sua prima Biennale d’Arte come porto ideale per tessere relazioni nel mondo e arricchirsi della visione del mondo ispanico, dalla Spagna agli artisti di tutta l’America Latina.

“L’isola è sempre un principio di composizione e invenzione, il luogo ideale per tessere relazioni: si parte, si arriva. Ci invita ad attraversare il mare circostante, a toccare altre terre”, ha dichiarato in un comunicato stampa la direttrice della Biennale maltese, Sofia Baldi Pighi.

 

L’evento, dal tema “Insulaphilia”, si svolgerà dal 13 marzo fino al 31 maggio in tutto il Paese, dall’isola paradisiaca di Gozo alla capitale La Valletta, Patrimonio dell’Umanità dal 1980.

La prima edizione avrà solo otto padiglioni nazionali, in cui ogni Paese espone le proprie riflessioni artistiche, e tra questi ci sarà quello della Spagna, commissionato da Ángel Moya García e firmato da Avelino Sala con il titolo “No One is an Island”.

Situata nella città di Calcara, l’installazione spagnola riflette sul concetto di identità in una dimensione “multipla e plurale”, con l’isola come asse di scambio con altre culture “senza limiti, paura o rifiuto”.

 

Allo stesso modo, tra i circa 70 artisti, alcuni proverranno dall’America Latina, come Luz Lizarazo, che rappresenterà la Colombia con l’opera “Mi cuerpo dice la verdad”, ispirata a Santa Águeda e che tratta del “significato culturale e spirituale contraddittorio dei seni delle donne”, e “Mi cuerpo dice la verdad”, ispirata a Santa Águeda, che tratta del “significato culturale e spirituale contraddittorio dei seni delle donne”.

 

Parteciperanno anche l’artista cubana Tania Bruguera, il messicano Pedro Reyes, la cilena Cecilia Vicuña, la salvadoregna Guadalupe Maravilla, la peruviana Andrea Ferrero e il brasiliano Daniel Jablonski con i loro rispettivi progetti. In questo modo, con la visione di artisti provenienti da tutto il mondo, l’isola europea, al centro della rotta migratoria del Mediterraneo, difenderà “l’importanza di riconoscere l’ibrido all’interno della propria cultura”, come si legge nel manifesto di questa “Insulaphilia”.

Tradotto con DeepL.com (versione gratuita)

AGI – C’è sempre da aspettarsi qualcosa di bello quando a comporre o suonare c’è Rodrigo D’Erasmo, uno dei musicisti più apprezzati in Italia. Polistrumentista, compositore e arrangiatore, metà brasiliano e metà italiano, a volte direttore d’orchestra al festival di Sanremo, altre volte violinista o chitarrista per gli Afterhours, altre volte ancora on the road per l’Italia suonando la romantica malinconia di Nick Drake, cantautore e chitarrista inglese che privilegiava l’acustica, morto a soli 26 anni. Un artista sfortunato e incompreso che D’Erasmo, insieme a Roberto Angelini, ama spesso reinterpretare.

 

E non sorprende quindi che Marco D’Amore, autore del film “Caracas”, si sia affidato alla sensibilità di D’Erasmo per la soundtrack, edita da Curci. Caracas è tratto dall’opera letteraria “Napoli Ferrovia” di Ermanno Rea con protagonisti Tony Servillo, Marco D’Amore, Lina Camelia Lumbroso, e racconta la città attraverso gli occhi di un vecchio scrittore rientrato a casa dopo molto tempo. Caracas è un uomo che milita in un gruppo violento di estrema destra e sta per convertirsi all’Islam. C’è Yasmina la donna che ama, drogata e persa nei vicoli della città. Uno scontro fra due mondi da cui si vede una nuova alba.

 

L’idea di firmare la colonna sonora, è stata accolta con entusiasmo sin dall’inizio da D’Erasmo: “Mi sono innamorato della sceneggiatura – racconta all’AGI il musicista – ho amato da subito i personaggi, l’ambientazione di Napoli che potrebbe essere una Medina del Maghreb e il modo di raccontare la storia in modo inedito. Elementi questi che sono diventati uno stimolo enorme per me da un punto di vista musicale. Ho subito iniziato a pensare e a elaborare un suono che raccontasse tutto il bacino del mediterraneo e oltre. E anche se mancavano mesi all’inizio riprese, ho consegnato tanto materiale in tempi relativamente brevi. Praticamente le riprese del film sono iniziate con tutta la colonna sonora già scritta”.

E comunque poi, anche tanto tempo trascorso sul set: “Si’, sono stato molto sul set – precisa il musicista – avevo voglia di fare squadra e stare insieme alla troupe. Ho fatto anche viaggi per lavorare bene a questo film, sono andato a Tunisi che è una città che sentivo vicina e non conoscevo. Ho trovato ispirazione li’ per un brano. Ho registrato suoni in quella città, muezzin, sonorità di kasbah e minareti. E ho unito ai suoni di Napoli quelli del Maghreb. Cosi’ è nato il tessuto sonoro”.

 

Tante ispirazioni dunque, anche la famosa Manha de Carneval, tratta da Orfeo Negro di Camus del 1959. “Manha de Carnaval ha un ruolo di grande ispirazione iniziale – racconta D’Erasmo – io per metà sono brasiliano e ho ascoltato da piccolo tanta musica brasiliana ma non avevo mai fatto nulla. Invece, stavolta ho inserito un brano che si chiama Rosa, un piccolo omaggio a Pixinguinha, una cover stupenda che ho arrangiato per chitarra classica. In altri brani come Tunisi, dove c’è la chitarra classica, c’è un po di’ Brasile”.

 

E la sceneggiatura? “Sono rimasto colpito da come è stata scritta – aggiunge – dal punto di vista letterario, è avvincente, scorrevole, ma anche molto poetica, affascinante e psichedelica. È stata fatta una resa cinematografica alla David Lynch che amo molto. E l’aspetto onirico e psichedelico è quello che mi ha molto colpito”.

 

Poi c’è Napoli: “È una città con una energia pulsante pazzesca – spiega D’Erasmo – con un magma che è quello del vulcano che le bolle dentro, che bolle nelle vene di chi proviene da li’, di chi ci si trova anche solo come ospite. Tutto questo fa si che Napoli non sia mai ferma. Dal punto di vista dell’energia e della cultura è una città in grande movimento e sommovimento oserei dire, e anche questo è fonte di grandissima ispirazione”.

 

Caracas, personaggio controverso: “E’ misteriosissimo – afferma D’Erasmo – nel brano ‘Chi è Caracas’ esce fuori pero’ dal suo mistero. Affiora la dolcezza, il senso di solitudine e il desiderio di amore, pace e serenità. Che poi, sono cose che in realtà lui stesso desidera ed è quello che ogni essere umano nelle varie fasi della vita, va cercando”. Un lavoro in cui c’è molto di Rodrigo D’Erasmo e anche di Marco D’Amore: “Si’ – afferma il musicista – mi ci rivedo moltissimo. Qualcuno mi ha chiesto come si fa a raccontare il tormento, e io ho detto che il modo più semplice, è essere tormentati piuttosto che cercare una formula per raccontarlo. Marco ed io ci riconosciuti in questo essere tormentati intimamente e lui ha voluto raccontarlo attraverso il personaggio di Caracas. Così ha dato a me la possibilità di farlo con il suono e di infonderlo a tutto il film. Devo dire che è stato uno dei lavori di cui sono più soddisfatto dal punto di vista di compositore di musica per immagine. Uno dei lavori di cui sono più contento”.

 

Nel futuro, di nuovo con Roberto Angelini suonando Nick Drake? “Assolutamente si’. Stiamo lavorando Roberto e io a un progetto che amiamo tanto. Ci piacerebbe riportarlo in giro questa estate. Drake non ha età, non ha bisogno di una particolare evenienza per essere suonato. È un progetto super fortunato, che la gente ama moltissimo. Siamo molto orgogliosi di poter portare in giro il verbo del grande Nick Drake, è una figura che amiamo tantissimo e a cui dobbiamo tanto. Molto presto riprenderemo quindi un progetto su di lui”.

 

E poi? “E poi tante cose – conclude D’Erasmo – con Antonio (Diodato) un tour nei teatri e annunceremo cose belle. Stiamo progettando uno spettacolo. E ci divertimento molto. Sto preparando poi un disco con Roberto Angelini di cui siamo molto orgogliosi, musica strumentale. Lo stiamo componendo. Non sarà solo un album ma una sorta di opera multimediale che vedrà la luce a fine anno. Un progetto davvero ambizioso a cui teniamo molto. E come compositore sto facendo due soundtrack per un documentario su Volonte’, e poi per una serie con Carlo Lucarelli sulla follia che dovrebbe uscire in autunno”.

 

AGI –  Grazie alla proposta di legge votata favorevolmente in commissione Cultura della Camera, il Teatro Massimo di Palermo e il Teatro Massimo Bellini di Catania, vengono riconosciuti come ‘Monumenti nazionali’.

“Sono molto soddisfatto di questa legge che finalmente – dice il vice presidente vicario di Fratelli d’Italia, Manlio Messina – farà ottenere il giusto riconoscimento a una terra che ha talento, storia e un patrimonio artistico di cui siamo fieramente orgogliosi. Ora, dopo l’approvazione, aspettiamo la discussione che arriverà a breve in Aula alla Camera e poi andrà al Senato per il via libera definitivo. Ma nel frattempo siamo pieni di gioia nel vedere i nostri teatri tra le grandi Istituzioni culturali italiane”.

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